Ci si obbligava re nel caso di mutuo, di pagamento dell’indebito, di fiducia, e successivamente, di deposito, di commodato e di pegno.
Il mutuo può essere definito come quel contratto mediante il quale una persona, detta mutuante, trasferiva ad un’altra, detta mutuatario, la proprietà di una determinata quantità di pecunia o di altre cose fungibili, con l’obbligo di restituirne altrettanto dello stesso genere e qualità.
La scienza romanistica ravvisava nel mutuum due elementi costitutivi fondamentali, la datio rei e la conventio.
Tra le parti vi doveva essere la convenzione non solenne di trasferire e ricevere il dominium delle res con l’impegno da parte dell’accipiente di restituire non le stesse cose, ma altre della stessa natura. Vi era esatto adempimento soltanto quando le aliae res da restituire erano oltre che eiusdem naturae, anche eiusdem qualitatis .
Oggetto del mutuo potevano essere quelle cose che ‘pondere numero mensura constant’ , individuabili nel genere e surrogabili nell’uso, normalmente consumabili, quali ad esempio il denaro contante, il frumento, il vino, ma anche l’oro, l’argento, il rame. Infatti per queste soltanto era possibile una restituzione in genere.
Trattandosi di un contratto reale, oltre all’elemento della convenzione , che ad esempio nei contratti consensuali era sufficiente a far nascere il negozio, vi doveva essere la tradizione dei fungibili ; essa doveva implicare il passaggio della proprietà delle cose dal mutuante al mutuatario.
Avvenuta la datio rei il mutuo si considerava costituito e la stessa bastava da sola a far sorgere l’obbligo del mutuatario alla restituzione.
Ancora oggi, per continuità dell’esperienza giuridica romana, il momento perfezionativo del contratto reale non è il consenso, bensì la dazione. Ai sensi dell’articolo 1813 cod. civ., il mutuo si contrae quando “una parte consegna all’altra una determinata quantità di cose fungibili”. Finché non avviene tale trasmissione si può dar luogo soltanto ad una ‘promessa di mutuo’ regolata dall’articolo 1822 del Codice civile.
In caso di indebiti solutio nasceva l’obbligazione di colui al quale taluno per errore avesse dato qualcosa che non gli doveva. Questa obbligazione nasceva dalla datio rei e poiché il pagamento era ingiustificato, essendo la cosa non dovuta a chi l’aveva ricevuta, questi era tenuto a restituirla. In un primo momento fu da Gaio assimilata al mutuo, pur sottolineando subito la differenza ontologica dei due fenomeni, l’uno volto a far nascere un’obbligazione e l’altro diretto all’estinzione di una obbligazione. Più tardi – nelle Res aureae – il Giurista romano cambiò idea circa l’assimilazione alla mutui datio, essendo arrivato alla conclusione che il contratto fosse solo quello con cui le parti avessero voluto contrarre un negozio, convergenza di volontà che sarebbe stato assurdo presumere anche nel pagamento dell’indebito.
La fiducia era un contratto reale con il quale il fiduciario, che per un determinato motivo aveva ricevuto da altri la proprietà di una res mancipi mediante mancipatio o in iure cessio, si obbligava a ritrasferirla al fiduciante al verificarsi di certe condizioni. Rispetto al mutuo, la fiducia si differenziava per la natura dell’oggetto, che nel primo era un genere, nella seconda era una cosa infungibile da restituirsi in specie.
Il depositum, il commodatum e il pignus erano negozi reali solo in senso improprio: 1) perché l’oggetto dell’affare era una species; 2) perché la res non era trasferita in proprietà: all’accipiente non passava che la detenzione (nel deposito e nel commodato) o il possesso (nel pegno) della cosa, affinché questa venisse custodita o usata o tenuta in garanzia con l’impegno di restituirla rispettivamente al deponente, al commodante, al debitore pignoratizio.