La Corte Costituzionale, con la Sentenza 10 luglio 2020, n. 145, nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 709-ter, secondo comma, numero 4), del codice di procedura civile, promosso dal Tribunale di Treviso, ha così deciso:
“1) dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 709-ter, secondo comma, numero 4), del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento all’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 4 del Protocollo n. 7 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, adottato a Strasburgo il 22 novembre 1984, ratificato e reso esecutivo con legge 9 aprile 1990, n. 98, dal Tribunale ordinario di Treviso con l’ordinanza indicata in epigrafe;
2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 709-ter, secondo comma, numero 4), cod. proc. civ., sollevate, in riferimento agli artt. 25, secondo comma, e 3, primo comma, Cost., dal Tribunale ordinario di Treviso con l’ordinanza indicata in epigrafe”.
In particolare, la Corte Costituzionale evidenzia che:
“L’art. 709-ter, secondo comma, cod. proc. civ., stabilisce: «A seguito del ricorso, il giudice convoca le parti e adotta i provvedimenti opportuni. In caso di gravi inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento, può modificare i provvedimenti in vigore e può, anche congiuntamente: 1) ammonire il genitore inadempiente; 2) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti del minore; 3) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti dell’altro; 4) condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, da un minimo di 75 euro a un massimo di 5.000 euro a favore della Cassa delle ammende».
Tale disposizione è stata inserita, nelle norme del codice di procedura civile dedicate alla separazione coniugale, dall’art. 2 della legge n. 54 del 2006, che ha contestualmente introdotto la regola generale dell’affidamento condiviso della prole della coppia parentale in regime di separazione, regola che è subito apparsa foriera di più frequenti controversie tra i genitori sulle modalità di attuazione di questo nuovo istituto con un maggiore coinvolgimento del giudice per dirimere ogni genere di contrasto.
La collocazione della norma nell’ambito della disciplina processuale della separazione coniugale non ne limita l’operatività a questo solo àmbito, in quanto l’art. 4, comma 2, della stessa legge n. 54 del 2006 stabilisce espressamente che le nuove disposizioni dettate per la separazione giudiziale si applicano anche ai casi di «scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio, nonché ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati».
L’art. 709-ter cod. proc. civ. demanda, nel primo comma, al giudice del procedimento in corso il potere di risolvere le controversie insorte tra i genitori in ordine all’esercizio della potestà genitoriale ovvero alle modalità dell’affidamento. Tali “controversie” sono costituite da disaccordi e contrasti che insorgono di frequente tra i genitori quando si tratta di individuare le modalità attuative dell’affidamento, ossia le forme di esercizio della responsabilità genitoriale ogni qual volta sia stato pronunciato un provvedimento di affidamento.
Nelle ipotesi in cui vengano accertate, poi, gravi inadempienze rispetto agli obblighi contenuti nei provvedimenti sull’esercizio della potestà genitoriale o sull’affidamento della prole o, in alternativa, il compimento di atti che arrechino pregiudizio al minore ovvero ostacolino il corretto svolgimento delle modalità di affidamento, il medesimo giudice può non soltanto modificare i provvedimenti in vigore, ma anche pronunciare, a carico del genitore inadempiente, le misure sanzionatorie di cui ai numeri da 1) a 4) della stessa disposizione.
Proprio da questi poteri demandati all’autorità giudiziaria dal secondo comma dell’art. 709-ter cod. proc. civ. si evince che lo scopo principale della norma è quello di superare le difficoltà da lungo tempo emerse nella prassi applicativa rispetto alla possibilità di assicurare l’effettività del diritto della prole ad un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori – in linea con le finalità generali della stessa legge n. 54 del 2006 sull’affidamento condiviso – anche ove tale diritto sia riconosciuto in un provvedimento di carattere giurisdizionale che disciplina le modalità di affidamento, per tutti gli aspetti diversi da quelli economici, e il diritto/dovere di visita del genitore non collocatario, ossia profili afferenti a obbligazioni complesse di carattere infungibile, incidenti su diritti di carattere non patrimoniale.
Le evidenziate difficoltà si correlavano soprattutto alla sostanziale inidoneità del modello dell’esecuzione forzata delineato dal Terzo libro del codice di procedura civile per l’attuazione delle decisioni giudiziarie in tema di affidamento e responsabilità genitoriale nei confronti dei figli minori (o maggiorenni portatori di handicap) – inidoneità riconosciuta, pur incidentalmente, da questa Corte (ordinanza n. 68 del 1987) – almeno per tutti gli aspetti diversi dalle questioni di carattere economico. Per queste ultime, invece, oltre all’esecuzione per espropriazione forzata, sono previsti vari meccanismi volti ad assicurare una adeguata tutela del diritto di credito quali, ad esempio, il sequestro o il pagamento diretto da parte di terzi ai sensi dell’art. 156 del codice civile, e la possibilità ex art. 545 cod. proc. civ. di pignorare il trattamento stipendiale anche al di là del limite generale del cosiddetto quinto, oltre alla tutela penale di cui, attualmente, agli artt. 570 e 570-bis cod. pen.
In questo contesto deve collocarsi l’introduzione nel codice di procedura civile dell’art. 709-ter ad opera della legge n. 54 del 2006 sull’affidamento condiviso, quale disposizione volta principalmente a colmare oggettive lacune che si erano registrate nell’assicurare una tutela effettiva dei diritti della prole di una coppia genitoriale disgregata, correlati a obblighi di natura infungibile pur consacrati in provvedimenti giudiziari.
In particolare, si è consentito al giudice della cognizione – adito con il ricorso di cui all’art. 709-ter cod. proc. civ., a fronte di violazioni dei provvedimenti concernenti le modalità di esercizio della responsabilità genitoriale ovvero di quelle di affidamento – di modificare o integrare il contenuto di tali provvedimenti. Il legislatore, quindi, al fine di superare il problema derivante dall’inidoneità dell’esecuzione forzata, ha per un verso demandato al giudice di merito una nuova competenza, che si svincola da moduli rigidi come quelli esecutivi, per sfruttare pienamente la maggiore flessibilità della tutela giurisdizionale di cognizione, e risponde alla finalità di individuare l’autorità più adatta a risolvere le questioni che possono sorgere nella fase di attuazione della misura; per un altro, ha attribuito a tale giudice, accertato l’inadempimento alle statuizioni contenute nei provvedimenti già emanati nei confronti della coppia parentale, il potere di comminare, ove richiesto con ricorso ai sensi del secondo comma della stessa disposizione, le misure sanzionatorie ivi contemplate.
Quanto alla «sanzione amministrativa pecuniaria», dell’importo ricompreso tra un minimo di 75 euro ed un massimo di 5.000 euro in favore della Cassa delle ammende, prevista dalla disposizione censurata in parte qua, la stessa realizza innanzi tutto – sul modello di altri sistemi processuali – una forma di indiretto rafforzamento dell’esecuzione delle obbligazioni di carattere infungibile. Si tratta di obbligazioni il cui adempimento dipende in via esclusiva dalla volontà dell’obbligato e l’esecuzione indiretta si realizza, previa necessaria istanza di parte, attraverso un sistema di compulsione all’adempimento spontaneo prevedendo, in mancanza dello stesso, l’obbligo di corrispondere una somma in favore dello Stato. In ciò tale modello si accosta nella finalità – pur divergendo nel meccanismo processuale – alle misure di attuazione degli obblighi di fare infungibile o di non fare introdotte successivamente dall’art. 614-bis cod. proc. civ., ad opera della legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile), che – poi divenute misure di coercizione indiretta – hanno invece vocazione generale, consentono l’esercizio di un potere d’ufficio del giudice e prevedono la corresponsione delle somme liquidate in favore dell’altra parte”.
In conclusione, la Corte Costituzionale afferma quanto segue:
“Il principio di legalità di cui all’invocato parametro costituzionale, che trova applicazione anche per le sanzioni amministrative di natura sostanzialmente punitiva (sentenze n. 139 del 2019 e n. 223 del 2018), non risulta violato dalla disposizione censurata.
Il secondo comma dell’art. 709-ter cod. proc. civ. – come già rilevato – individua in via alternativa le condotte che possono giustificare l’applicazione delle sanzioni ivi previste, le quali possono consistere in gravi inadempienze, da riferirsi agli obblighi concernenti l’esercizio della responsabilità genitoriale o l’affidamento dei minori; ovvero in atti che comunque arrechino pregiudizio al minore; o anche in atti che ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento.
La censura del Tribunale rimettente si appunta, in particolare, sulla ritenuta indeterminatezza dell’espressione «atti che comunque arrechino pregiudizio al minore».
La giurisprudenza di legittimità – premesso che l’art. 709-ter cod. proc. civ. attribuisce al giudice la facoltà di applicare una o più tra le misure previste dalla stessa norma nei confronti del genitore responsabile di gravi inadempienze o di atti «che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento» – ha precisato che l’uso della congiunzione disgiuntiva evidenzia che avere ostacolato il corretto svolgimento delle prescrizioni giudiziali relative alle modalità di affidamento dei figli è un fatto che giustifica di per sé l’applicazione di una o più tra le misure previste, anche in mancanza di un pregiudizio in concreto accertato a carico del minore (sentenza della Corte di cassazione n. 16980 del 2018).
È possibile quindi individuare i comportamenti sanzionabili in quelle condotte – da ricondurre a “inadempienze o violazioni” di prescrizioni dettate in un provvedimento giurisdizionale, pur non apparentemente “gravi” – che abbiano arrecato alla prole un danno, anche non patrimoniale, accertabile e valutabile secondo gli ordinari criteri.
Questa Corte ha del resto costantemente ribadito il principio secondo cui il ricorso a un’enunciazione sintetica della norma incriminatrice, piuttosto che a un’analitica enumerazione dei comportamenti sanzionati, non comporta, di per sé, un vizio di indeterminatezza purché, mediante l’interpretazione integrata, sistemica e teleologica, sia possibile attribuire un significato chiaro, intelligibile e preciso alla previsione normativa (sentenze n. 25 e n. 24 del 2019 e n. 172 del 2014).
È peraltro compatibile con il principio di determinatezza l’uso, nella formula descrittiva dell’illecito sanzionato, di una tecnica esemplificativa oppure di concetti extragiuridici diffusi o, ancora, di dati di esperienza comune o tecnica (così già la sentenza n. 42 del 1972), tanto più ove, come nella fattispecie considerata, l’opera maieutica della giurisprudenza, specie di legittimità, consenta di specificare il precetto legale (sentenza n. 139 del 2019)”.
Ancora, la Corte Costituzionale precisa che:
“Il reato che viene in rilievo ai fini della comparazione posta dal giudice rimettente, non esclusa di per sé dall’interpretazione conforme della disposizione censurata, nei termini sopra indicati, è quello avente ad oggetto la condotta costituita dall’omesso pagamento dell’assegno di mantenimento della prole disposto nell’ambito del giudizio di separazione. Avendo riguardo alla normativa applicabile ratione temporis, il reato – come già rilevato – è quello di cui all’art. 3 della legge n. 54 del 2006, che aveva esteso alla separazione tale tutela penale già contemplata dall’art. 12-sexies della legge n. 898 del 1970 per il mancato pagamento dell’assegno di mantenimento dei figli disposto dalla sentenza di divorzio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio.
La pena applicabile è quella di cui al primo comma dell’art. 570 cod. pen., al quale il predetto art. 12-sexies rinvia per la sua determinazione (Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 31 gennaio-31 maggio 2013, n. 23866) e quindi la pena della multa è alternativa e non congiunta a quella della reclusione.
Vi è però pur sempre il maggiore stigma sociale che si correla alla comminazione di sanzioni anche solo pecuniarie, ma formalmente qualificate come penali, al di là dell’importo concreto della pena irrogata, non senza considerare che comunque è prevista, in via alternativa, la pena della reclusione, che di per sé connota la maggiore gravità del trattamento sanzionatorio.
Non sussiste quindi alcun ingiustificato trattamento differenziato”.