OBBLIGAZIONI DI CUSTODIA
L’obbligazione di custodire deriva nel nostro ordinamento da diverse fonti: può nascere da contratto o da fatto extracontrattuale o, in generale, da quel complesso di atti e fatti che l’art. 1173 c.c. definisce idonei a far sorgere vincoli obbligatori.
Sorga o meno da contratto, l’obbligazione custodiale può atteggiarsi non solo come un obbligo autonomo o almeno principale (come accade nel contratto di deposito, in cui la custodia è l’unica ed essenziale delle prestazioni, talmente unica ed essenziale che il deposito è un contratto tipicamente custodiae causa, in cui, cioè, la custodia qualifica, sul piano assiologico o causale, la funzione a cui è preordinato il contratto stesso), ma può presentarsi anche in collegamento, accessorio o strumentale, ad altri obblighi (come accade emblematicamente nelle obbligazioni traslative o quelle restitutorie).
A tal proposito, è il caso di richiamare l’art. 1177 c.c., che, rubricato significativamente “obbligazione di custodire”, stabilisce che l’obbligazione di custodire è inclusa nelle obbligazioni che implicano la consegna di una cosa determinata, quali le obbligazioni tipicamente traslative.
Nel nostro sistema, il contratto traslativo, o con effetti reali, è quello in base al quale il trasferimento della proprietà o di altro diritto sulla cosa si realizza sulla base del solo consenso legittimamente manifestato dalle parti, (l’art. 1376 c.c. fissa il cd. principio consensualistico). Nella compravendita, contratto traslativo tipicamente consensuale, la consegna del bene e il pagamento del prezzo costituiscono, infatti, obblighi meramente esecutivi dell’accordo già raggiunto sulla base del mero incontro delle volontà (proposta e accettazione).
In breve, quando c’è un’obbligazione di consegnare, che discenda da una vicenda traslativa, si ha una situazione in cui, dopo lo scambio dei consensi, la detenzione della cosa resta in capo all’alienante (tipicamente al venditore), ma la proprietà della cosa è già passata all’alienatario (all’acquirente).
Il venditore nelle more mantiene soltanto la detenzione della cosa, nell’interesse e per conto altrui, ovvero dell’acquirente, di colui che è diventato vero proprietario della cosa. Dunque, fino al momento della consegna, incombe sul venditore l’obbligo (strumentale) di custodire la cosa.
Del resto, che così debba essere, discende dal principio res perit domino, che il nostro ordinamento fissa all’art. 1465 c.c..
Il perimento, la distruzione, la sottrazione della cosa venduta, rimasta nella detenzione dell’alienante, si perde al padrone, si perde a colui che è diventato proprietario. Pertanto, l’alienante non risponde della perdita della cosa venduta, purché naturalmente non sia dovuta a causa a lui imputabile.
Il venditore potrà pretendere il corrispettivo della compravendita, anche se la cosa non potrà più essere consegnata, per fatto incolpevole del venditore.
A fronte di questo vantaggio, non poteva che esserci il contrappeso dell’obbligo del venditore di custodire la cosa, cioè di fare in modo che la cosa non si perda, non si distrugga e non si deteriori fino a quando essa non venga, in attuazione del programma obbligatorio, consegnata all’alienatario.
Per analogia di ratio l’art. 1177 c.c. deve estendersi anche all’obbligazione di restituire.
Nel nostro ordinamento, le obbligazioni restitutorie sono una congerie di obbligazioni e perciò anche si spiega la ragione della particolare importanza pratica dell’obbligazione di custodire (si pensi al contratto d’opera con un tintore o un sarto, che rende necessario l’affidamento del vestito da pulire od accomodare; ma anche ai contratti traslativi con consegna differita; o al mandato, al trasporto, alla spedizione etc.).
L’obbligo di custodia può derivare da un rapporto obbligatorio extracontrattuale: si pensi agli obblighi dell’usufruttuario o del titolare di un diritto di uso o di abitazione, che a loro volta possono derivare non solo da contratto, ma anche dal testamento o dalla legge (art. 324 c.c.); alla situazione del possessore soccombente nel giudizio di rivendicazione; all’obbligo di restituzione dell’accipiens di cosa determinata (quanto meno a quello di malafede: art. 2037 c.c.); agli obblighi del custode di cosa pignorata o sequestrata (art. 65 c.p.c.), etc..
Ciò premesso, è utile isolare quei rapporti nei quali la prestazione di custodia costituisce contenuto dell’obbligazione principale. Si tratta dei cd. contratti di custodia, o custodiae causa, che vanno a loro volta divisi in due categorie:
a)il contratto (tipico) di deposito;
b) vari contratti atipici (come il contratto di vigilanza, il contratto di parcheggio ed il contratto di ormeggio).
Il deposito è quel contratto con il quale una parte (depositario) riceve dall’altra (depositante)una cosa mobile con l’obbligo di custodirla in natura (art. 1766 c.c.). Si tratta di un contratto reale ad effetti obbligatori a forma libera e ad esecuzione continuata, avente ad oggetto la custodia di una cosa mobile. La causa del deposito consiste nell’assicurare la custodia della cosa; al depositario non passa la proprietà né il possesso di essa: egli la detiene soltanto, nell’interesse del depositante, e non può disporne né servirsene senza il consenso del depositante (art. 1770 c.c.).
Il depositario è obbligato ad usare, nella custodia, la diligenza del buon padre di famiglia; ma, se il deposito è gratuito, un’eventuale responsabilità per colpa è valutata con minor rigore (art. 1768 c.c.).
La cosa va restituita al depositante, unitamente ai frutti percepiti dal depositario (art. 1775 c.c.), nel luogo dove doveva essere custodita. Le spese per la restituzione sono a carico del depositante (art. 1774).
Se la detenzione della cosa è tolta al depositario in conseguenza di un fatto non imputabile, egli è liberato dall’obbligo di restituzione, ma deve, pena il risarcimento del danno, denunziare immediatamente al depositante il fatto per cui ha perduto la detenzione (Cass. 8541/91). Se, invece, il fatto è imputabile il depositario deve risarcire il danno (Cass. 3145/90).
Per completezza espositiva, è opportuno richiamare le figure del deposito alberghiero e del deposito nei magazzini generali.
Una particolare disciplina è dettata dal codice civile per il deposito alberghiero (artt. 1783-1786 c.c.). La responsabilità dell’albergatore è graduata a seconda che la cosa danneggiata sia stata solamente portata in albergo ovvero sia stata consegnata in deposito all’albergatore.
Nella prima ipotesi non esiste un contratto di deposito. In questo caso la responsabilità dell’albergatore è fissata entro un limite massimo (sino all’equivalente di cento volte il prezzo di locazione dell’alloggio per giornata), a meno che la perdita o il deterioramento della cosa non dipenda da colpa, sua o di un dipendente, o l’albergatore abbia rifiutato di prendere in custodia cose che aveva l’obbligo di accettare (danaro contante, oggetti di valore). L’albergatore, però, è esonerato dalle conseguenze della responsabilità se prova che la perdita o il deterioramento della cosa sono dovuti a colpa grave del cliente o di chi lo accompagna.
Nella seconda ipotesi, invece, le parti stipulano un vero e proprio contratto di deposito del tutto autonomo, sebbene collegato a quello alberghiero. Pertanto, in questo caso, l’albergatore risponde secondo gli ordinari principi in materia di inadempimento contrattuale.
Parimenti si ha contratto di deposito, accessorio a quello alberghiero, nel caso in cui il cliente utilizzi il garage dell’albergo. Oggetto del deposito è non solo il veicolo ma anche le cose a questo funzionalmente collegate come gli optionals o l’autoradio.
Il deposito nei magazzini generali, svolto in pubblici magazzini appositamente organizzati, è un comune contratto di deposito, caratterizzato dalla speciale qualità professionale del depositario (artt. 1787-1797 c.c.). I magazzini sono responsabili della conservazione delle merci depositate, tranne che si provi che la perdita, il calo o l’avaria è derivata da caso fortuito, da fatto imprevedibile o da vizi delle stesse o dell’imballaggio.
È facile intuire, tuttavia, che non tutti i contratti di custodia si esauriscono nello schema tipico del deposito. Ciò, per due ordini di ragioni: 1) perché, mentre nel deposito si parla di custodia mediante detenzione a tal punto che mancando la detenzione non nasce il deposito, è di tutta evidenza, invece, che si possa controllare, vigilare, custodire anche senza detenzione; 2) perché, mentre il deposito non afferisce ai beni immobili, è ovvio che ci possa essere custodia anche di beni immobili (si pensi, ad esempio, ai contratti di vigilanza, specie notturna, di immobili, in cui, peraltro, l’obbligazione custodiale si connota di regola in termini diversi e sostanzialmente attenuati rispetto a quella del depositario, implicando solo il periodico controllo e la tempestiva denunzia).
Nelle altre ipotesi cd. atipiche di custodia può risultare difficile stabilire se (accompagnandosi alla custodia la detenzione) si rientri nello schema del deposito (con il conseguente regime di responsabilità) ovvero in quello dell’atipico “contratto di vigilanza”.
Ci sono, a tal proposito, due importanti pronunce, una per il contratto di ormeggio, Cass., 1° giugno 2004, n. 10484, e l’altra per il contratto di parcheggio, Cass., 26 febbraio 2004, n. 3863, nelle quali la giurisprudenza elabora soluzioni sostanzialmente divergenti per l’uno e per l’altro caso.
In particolare, per quanto riguarda il contratto di ormeggio, la Cassazione, in sintesi, ha stabilito:
a)che il c.d. contratto di ormeggio non trova alcuna specifica regolamentazione ne’ nel codice civile ne’ in quello della navigazione, che si limita a dettare norme sulla professione di ormeggiatore (art. 116 c. 1^ n. 4 c. n. e 208 ss. reg. nav. mar.), sicché costituisce un contratto “atipico”, che il diritto non può non riconoscere, in quanto diretto a realizzare un interesse meritevole di tutela (art. 1322 c. 2^ c.c.);
b)che tale contratto atipico non può, tuttavia, essere equiparato, sic et simpliciter, al deposito, sì da doversi ritenere applicabili analogicamente le disposizioni di cui agli artt. 1766 ss. c.c., potendo avere un oggetto più vario ed articolato, in dipendenza delle attrezzature e dell’organizzazione del porto turistico ed, alla fine, degli accordi tra le parti, nell’espletamento della propria autonomia contrattuale;
c)che l’oggetto del contratto in esame può limitarsi, infatti, da una parte alla messa a disposizione delle strutture, e dall’altra alla loro utilizzazione al solo fine dell’ormeggio e della sosta dell’imbarcazione, senza alcuna ulteriore prestazione: in tal caso lo stesso presenta una sostanziale affinità con la locazione (può riscontrarsi una analogia con la locazione del c.d. “posto macchina”), in cui, secondo la definizione che ne da’ l’art. 1571 c.c., “una parte si obbliga a far godere all’altra una cosa mobile o immobile per un dato tempo, verso un determinato corrispettivo” senza che tale qualificazione osti la presenza di personale del concedente, al fine di regolare gli arrivi e di riscuotere i corrispettivi;
d)che il contratto può, invece, dar luogo ad un affidamento del natante agli addetti alla struttura, e, attraverso essi, all’altro contraente (eventualmente in applicazione degli artt. 2203 ss. c.c.), che comporta l’obbligo della sua custodia, sì da renderlo assimilabile ad deposito (artt. 1766 ss. c.c.) e da rendere applicabili le relative disposizioni;
e)che, pertanto, il contratto di ormeggio, pur rientrando nella categoria dei contratti atipici, è sempre caratterizzato da una struttura minima essenziale (in mancanza della quale non può dirsi realizzata la detta convenzione negoziale), consistente nella semplice messa a disposizione ed utilizzazione delle strutture portuali con conseguente assegnazione di un delimitato e protetto spazio acqueo, ma il suo contenuto può del tutto legittimamente estendersi anche ad altre prestazioni (sinallagmaticamente collegate al corrispettivo), quali la custodia del natante e/o quella delle cose in esso contenute, ed il relativo accertamento si esaurisce in un giudizio di merito che, adeguatamente motivato, non è censurabile in sede di legittimità;
f)che di conseguenza incombe a colui che fonda un determinato diritto (o la responsabilità dell’altro contraente) sulla struttura del contratto, fornire la prova dell’oggetto e del contenuto, la prova, cioè, che il contratto ha avuto ad oggetto non la semplice utilizzazione delle strutture, ai fini dell’attracco e della sosta, ma altresì la custodia dell’imbarcazione; e, trattandosi di contratto per il quale non è richiesta alcuna forma, la relativa prova può essere data anche attraverso testimoni e può, eventualmente, essere tratta da presunzioni che presentino i connotati della gravità, della precisione e della concordanza (art. 2729 c.c.).
Quindi, la Cassazione, almeno nella più recente prospettazione dell’argomento, ha adottato una soluzione sufficientemente elastica.
In sostanza, ha argomentato nel senso che si deve indagare la volontà delle parti per ricondurre il contratto di ormeggio, che è un contratto atipico di custodia, nell’una piuttosto che nell’altra delle tre alternative possibili:
1. lo schema elementare, analogo alla locazione, in cui non c’è l’obbligo di custodia;
2.lo schema intermedio, in cui la custodia si risolve nella semplice vigilanza;
3.lo schema massimo, in cui l’ormeggiatore assume una vera e propria obbligazione custodiale in senso tecnico, che per ogni profilo rende applicabili la disciplina del contratto di deposito.
Per contro, anche in considerazione della diversa rilevanza tipico-sociale della fattispecie, nel contratto di parcheggio la giurisprudenza si mostra, in linea di massima, più severa.
La Corte di Cassazione in proposito ha stabilito:
a)che la predisposizione di apposita area di parcheggio (specialmente se recintata) indica, di regola, un esplicito consenso alla presa in custodia dell’autovettura;
b) che, pertanto, oggetto del contratto di parcheggio, che si è formato attraverso mezzi meccanici, è la messa a disposizione di uno spazio ed essa si combina con la custodia, allo stesso modo in cui avviene nel contratto di deposito, nel quale l’obbligo della custodia è elemento essenziale (art. 1766 cod. civ,);
c)che, infatti, nella vita sociale la funzione pratica del contratto di posteggio è quella di liberare l’automobilista da ogni preoccupazione relativa alla custodia del veicolo, ed il significato oggettivo di questo comportamento prevale su eventuali condizioni generali di contratto predisposte dall’impresa di parcheggio, che escludano un obbligo di custodia, giacché – in disparte ogni altro rilievo circa la rilevanza della predisposizione unilaterale (artt. 1341 ss. ed art. 1469 bis ss. c.c., quanto a profili di limitazione della responsabilità – il conducente, giunto in prossimità dell’area di parcheggio, assai difficilmente è in condizioni di rendersi conto di quelle condizioni (ché, se poi fossero richiamate nello scontrino o nella scheda rilasciati dagli apparecchi automatici, sarebbe egualmente legittimo ritenere che quella conoscenza sfugga all’attenzione dell’utente, considerato il modo rapidissimo con il quale il contratto si è realizzato);
d) che il fatto che nel codice della strada sia previsto il parcheggio anche senza custodia è argomento che non prova nulla, sia perché non da luogo ad un contratto atipico rientrante nella categoria che si sta esaminando, sia perché il parcheggio sulla pubblica strada risponde a finalità di disciplina generale dell’occupazione di suoli pubblici, la quale, a sua volta, giustifica la deroga ai principi generali sulla responsabilità dell’ente pubblico proprietario della strada;
e)che il contrario argomento fondato sulla pretesa rinuncia alla custodia da parte dell’automobilista, ricavato dall’avvenuta chiusura a chiave del veicolo, non prova in realtà nulla, perché la chiusura a chiave dell’auto nel parcheggio è elemento aggiuntivo, ma non escludente l’obbligo della custodia (laddove – vale appena soggiungere – la consegna delle chiavi darebbe senz’altro vita ad un deposito a tutti gli effetti, trattandosi di traditio ficta idonea a creare una situazione di detenzione).
Infine, deve osservarsi che non tutti sono d’accordo nel ritenere che la obbligazione custodiale (vuoi nella ricordata ipotesi in cui rappresenti l’unico ed autonomo scopo di alcuni contratti, vuoi nelle ipotesi in cui sia collegata alla obbligazione di consegnare ex art. 1177 c.c.) concreti una prestazione in senso stretto.
In particolare, vanno segnalate le opinioni:
a)di chi ritiene la custodia semplice criterio di responsabilità (risolvendolo, in definitiva, nella diligenza ex art. 1176 c.c.);
b)di chi lo ritiene semplice dovere (integrativo e/o strumentale) di protezione (risolvendolo, allora, nella buona fede o correttezza ex art. 1175 c.c.).