Di recente, il Consiglio di Stato ha stabilito che i crediti retributivi dei dipendenti pubblici si prescrivono in cinque anni e decorrono in costanza del rapporto di lavoro.
Il termine di prescrizione dei crediti retributivi relativi ad un rapporto di lavoro con la P.A., per tutte le pretese riconosciute ai pubblici dipendenti che hanno natura retributiva, è quinquennale e decorre in costanza del rapporto stesso, anche se questo abbia carattere provvisorio o temporaneo, in quanto non è sostenibile, per la natura del rapporto, che il dipendente pubblico possa essere esposto a “possibili ritorsioni e rappresaglie” quando egli tuteli in via giudiziale i propri diritti ed interessi.
Tanto si evince dalle sentenze del Consiglio di Stato nn. 1486, 1487, 1488, 1489, 1490, 1491, 1492, 1493, 1494, 1495, 1496, 1497, 1498, 1499, 1500, 1501, 1502, 1503, 1504 , datate 3 aprile 2007, che hanno visto coinvolte delle insegnanti supplenti di una scuola materna comunale, le quali impugnavano la decisione del TAR del Lazio, che aveva riconosciuto i crediti maturati a titolo di indennità sostitutiva per ferie maturate e non fruite, indennità di tempo potenziato, tredicesima mensilità, trattamento di fine rapporto, astensione obbligatoria e/o facoltativa dal lavoro, facendone, però, decorrere la prescrizione quinquennale in costanza di rapporto di lavoro.
Per unanime orientamento giurisprudenziale (C.d.S. sez. V, 17 febbraio 2004 n. 601; C.d.S. sez. V, 10 novembre 1992 n. 1243; C.d.S. sez. VI, 31 luglio 2003 4417; C.d.S. sez. VI, 16 novembre 2000 n. 6140), “la prescrizione dei crediti retributivi relativi ad un rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione decorre in costanza del rapporto stesso “sebbene questo abbia carattere provvisorio o temporaneo”, in quanto non è sostenibile, per la natura del rapporto, che il dipendente pubblico possa essere esposto a “possibili ritorsioni e rappresaglie” quando egli tuteli in via giudiziale i propri diritti ed interessi”.
Sentenza del Consiglio di Stato 3 aprile 2007, n. 1486
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione ANNO
ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 150/2005 proposto dalla sig.ra Gioia PINCI, rappresentata e difesa dagli avv.ti Antonino TILLIECI e Teresa Maria MANGANELLA e presso la seconda elettivamente domiciliata in Roma, via Antonio Toscani 95,
contro
il Comune di ROMA, in persona del Sindaco p.t., costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’avv. Carlo Sportelli e presso lo stesso elettivamente domiciliato in Roma, via del Tempio di Giove 21,
per la riforma
della sentenza del TAR del Lazio, Sez. II bis, sede di Roma, 31 dicembre 2003, n. 13677;
visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Roma;
visti gli atti tutti della causa;
relatore, alla pubblica udienza del 27 ottobre 2006, il Cons. Paolo BUONVINO;
uditi gli avv. BERNETTI, per delega dell’avv. TILLIECI, per l’appellante e l’avv. SPORTELLI per il Comune appellato.
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue
F A T T O e D I R I T T O
1) – L’odierna appellante, in relazione ai servizi resi in qualità di insegnante supplente della scuola materna comunale, con la sentenza impugnata ha avuto riconosciuto il diritto a vedersi liquidate le somme dovute a titolo di:
a) – tredicesima mensilità;
b) – indennità di liquidazione;
c) – indennità di tempo potenziato di cui al comma 6 dell’art. 45 del d.p.r. n. 333 del 1990;
d) – indennità sostitutiva delle ferie non godute, previo “accertamento dell’effettiva sussistenza dei relativi presupposti”.
La decisione ha anche accolto le domande dell’ istante volte:
e) – al riconoscimento nell’ anzianità di servizio del periodo di astensione obbligatoria per maternità;
f) – a prendere in considerazione tutte le componenti economiche costitutive della retribuzione complessiva erogata alla lavoratrice ai fini del trattamento previsto per il periodo d’esenzione obbligatoria dal lavoro per maternità.
In accoglimento dell’eccezione dedotta dal Comune resistente, la decisione impugnata ha anche precisato che “tutti gli emolumenti in questione, compresa l’indennità per ferie non godute, ricollegandosi direttamene al rapporto d’impiego, non hanno natura risarcitoria e sono quindi soggetti a prescrizione quinquennale”.
2) – La ricorrente in appello ha interposto gravame avverso i capi della sentenza che :
– hanno fatto decorrere la prescrizione in costanza di rapporto di lavoro per i crediti maturati a titolo di indennità sostitutiva per ferie maturate e non fruite, indennità di tempo potenziato, tredicesima mensilità, trattamento di fine rapporto, astensione obbligatoria e/o facoltativa dal lavoro;
– hanno dichiarato la sussistenza della prescrizione quinquennale dei crediti maturati per l’indennità sostitutiva per ferie maturate e non fruite e indennità di tempo potenziato;
– hanno compensate le spese di giudizio.
Assume, in particolare, l’ appellante che:
– erroneamente la decisione a fatto decorrere la prescrizione quinquennale dei crediti maturati in costanza di rapporto di lavoro, senza tener conto della precarietà del rapporto medesimo e di un indirizzo giurisprudenziale di segno contrario che dà rilievo alla situazione di metus del lavoratore;
– l’ indennità sostitutiva per ferie maturate e non fruite e l’indennità di tempo potenziato avrebbero natura risarcitoria e non retributiva (con conseguente termine di prescrizione decennale e non quinquennale di cui alla disciplina dell’ art. 2948 c.c., estesa al pubblico impiego dall’ art. 2 della legge 7 agosto 1985 n. 428);
– la sentenza impugnata ha, infine, compensato le spese senza alcuna motivazione.
Il Comune di Roma si è costituito, chiedendo il rigetto dell’appello e la conseguente conferma dei capi di domanda appellati.
3) – Quanto dedotto dalla ricorrente non ha positivo seguito e, conseguentemente, il gravame in esame deve essere respinto.
3.1) – Secondo un costante indirizzo giurisprudenziale, anche di questa Sezione, la prescrizione dei crediti retributivi relativi ad un rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione decorre in costanza del rapporto stesso “sebbene questo abbia carattere provvisorio o temporaneo” (cfr. le decisioni della Sezione 17 febbraio 2004 n. 601; 10 novembre 1992 n. 1243; Sezione VI, 31 luglio 2003 4417; 16 novembre 2000 n. 6140), in quanto non è sostenibile, per la natura del rapporto, che il dipendente pubblico possa essere esposto a “possibili ritorsioni e rappresaglie” quando egli tuteli in via giudiziale i propri diritti ed interessi.
Si aggiunga che, come è stato da tempo scritto (Cons. St., sez. VI, n. 8 del 2001), “il datore di lavoro pubblico, in quanto istituzionalmente vincolato alle regole sulla discrezionalità amministrativa ed ai principi costituzionali di buon andamento e imparzialità, è in condizione di operare una pressione ridotta rispetto ai propri dipendenti, anche su quelli a tempo”.
La stessa Corte Costituzionale che, con una prima sentenza (10 giugno 1966, n. 63), aveva dichiarato l’incostituzionalità del comma primo, punto 4, dell’art. 2948 c.c. nella parte in cui consente che la prescrizione decorra in costanza di rapporto di lavoro, successivamente ha precisato che l’illegittimità riguarda i soli rapporti di lavoro privato non stabili e non anche quelli di pubblico impiego (vedi sent. 21 maggio 1975, n. 115).
Ad ogni buon conto, gli incarichi a tempo determinato conferiti all’appellante traevano origine e fonte in una graduatoria permanente che poneva il soggetto che vi era inserito in una posizione di “attesa tutelata”, vincolando l’Amministrazione pubblica ad assegnare i successivi incarichi nel rispetto della graduatoria medesima, senza che le fosse attribuita alcuna discrezionalità nella “scelta”.
3.2) – Il regime prescrizionale quinquennale, di cui all’ art. 2948 c.c., e non decennale, è riferibile, poi, a tutte le pretese patrimoniali riconosciute all’appellante, compresa l’indennità per ferie non godute e l’indennità di tempo potenziato.
Questa seconda (indennità c.d. di tempo potenziato, pari ad una somma fissa mensile per tutta la durata dell’anno scolastico) è stata riconosciuta ai docenti delle scuole materne comunali dall’art. 45, sesto comma, del D.P.R. 3 agosto 1990, n. 333, a compensazione della prestazione lavorativa aggiuntiva di cinque ore settimanali dell’orario di lavoro introdotta dall’ art. 41, primo comma, del decreto ora citato.
Nel rapporto sinallagmatico detta indennità è il corrispettivo, di natura retributiva, della richiesta contrattuale di una maggiore prestazione lavorativa oraria.
Il compenso sostitutivo per ferie non godute non ha, invece, la sua fonte in una disciplina espressa, ma trova ragione nella violazione dell’art. 36 Cost., per il quale il lavoratore ha “diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro”.
Il compenso ha, dunque, natura retributiva perché nel rapporto sinallagmatico è il corrispettivo di una prestazione lavorativa aggiuntiva (rispetto a quella ordinariamente dovuta).
Sono l’ aspetto quantitativo e sinallagmatico del rapporto che vengono in rilievo per mantenere il rapporto medesimo nell’ambito dei dettami dell’ art. 36 Cost. e non il mancato riposo ed il mancato recupero delle energie psicofisiche ai quali la sentenza della Corte di Cassazione (n. 2569 del 2001), richiamata dalla ricorrente, fa riferimento per sostenere la natura risarcitoria di detta indennità (cfr. Cons. Stato, sez. VI, n. 8 del 2001; sez. V n. 374 del 1998).
3.3) – Come da indirizzo giurisprudenziale pacifico (cfr Cons.St., Sez.IV, 10 giugno 2004, n. 3719) spettano al giudice amministrativo ampi poteri discrezionali in ordine al riconoscimento, sul piano equitativo, dei giusti motivi per far luogo alla compensazione delle spese di giudizio, ovvero per escluderla, condannando alle spese.
Nella specie, poi, la soccombenza in appello rimuove il capo di domanda di cui al punto c) dell’ elencazione in fatto.
4) – Per essere infondati i tre capi di domanda sopra esaminati, il gravame in appello deve essere respinto.
La circostanza che la ricorrente vittoriosa in primo grado è ora a sua volta soccombente (non avendo positivo ingresso la domanda di parziale modifica della sentenza impugnata) induce il Collegio a compensare tra le parti le spese e gli onorari di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione quinta, respinge l’appello in epigrafe.
Spese del grado compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 27 ottobre 2006 dal Collegio costituito dai sigg.ri:
S E R G I O S A N T O R O – P r e s i d e n t e
PAOLO B U O N V I N O – Consigliere e s t.
M A R Z I O B R A N C A – C o n s i g l i e r e
A D O L F O M E T R O – C o n s i g l ie r e
GIANCARLO GIAMBARTOLOMEI–Consigliere
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
f.to Paolo Buonvino f.to Sergio Santoro
IL SEGRETARIO
f.to Francesco Cutrupi
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 3 aprile 2007
(Art. 55. L. 27/4/1982, n. 186)
IL DIRIGENTE
f.to Antonio Natale