TAR Napoli, Sez. VI, 04 aprile 2007 / 03 maggio 2007, n. 4656 – sospensione cautelare dal servizio
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Sezione Sesta, ha pronunziato la seguente
N. 4656/07
SENTENZA
ai sensi dell’art. 9 della legge 21 luglio 2000 n. 205
sul ricorso n. 1500/2007 proposto da Pedata Antimo, rappresentato e difeso dall’avv. Massimo Natale, domiciliato presso la Segreteria del T.A.R.,
CONTRO
il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, in persona del Comandante pro-tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, domiciliataria ex lege,
PER L’ANNULLAMENTO (previa sospensione)
del provvedimento n. 204213/D-1-16 del 28.11.2006, con cui il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri ha disposto la sospensione cautelare dal servizio del ricorrente.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti l’atto di costituzione in giudizio, per l’Amministrazione intimata, dell’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli nonchè la memoria ed i documenti dalla stessa prodotti;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore il Presidente Filippo Giamportone;
Udita alla Camera di Consiglio del 4 aprile 2007 la Difesa Erariale, come da verbale; assente il difensore del ricorrente;
Visti gli artt. 21 e 26 della legge 6 dicembre 1971 n. 1034, nel testo vigente risultante dalle innovazioni legislative introdotte, rispettivamente dagli artt. 3 e 9 della legge 21 luglio 2000 n. 205;
Visto, in particolare, il combinato disposto del comma 1 dell’art. 3 del comma 1 dell’art. 9 citati, che autorizza il giudice adito in sede cautelare a definire il giudizio nel merito “con sentenza succintamente motivata”, ove la stessa sia di agevole definizione;
Ritenuto che sussistono i presupposti per poter decidere in via definitiva il ricorso, il quale è palesemente infondato.
Ed invero, quanto alla doglianza sostanziatesi nella violazione del disposto di cui all’art. 9 della legge n. 1168/1961, lo stesso testualmente prevede che “il militare di truppa dell’Arma dei Carabinieri può essere sospeso precauzionalmente dal servizio quando sia sottoposto a procedimento penale per imputazione da cui possa derivare la perdita del grado”.
Ora, osserva il Collegio che, in sede di sospensione cautelare facoltativa, come nella fattispecie, l’Amministrazione dispone della facoltà di valutare l’opportunità dell’adozione o meno di detta misura, in esplicazione di un potere tipicamente discrezionale, in relazione al quale il sindacato del giudice amministrativo è limitato alla ricorrenza di scelte inficiate da grave irrazionalità.
Osserva, pure, il Collegio che la sospensione cautelare non ha natura sanzionatoria, in quanto l’adozione della detta misura non pregiudica l’integrale reintegrazione del dipendente nelle funzioni e negli assegni non percepiti, se il procedimento disciplinare non viene intrapreso nei termini di legge, ovvero se già avviato, si conclude positivamente.
Esso si pone, piuttosto, quale rimedio provvisorio a tutela del superiore interesse pubblico dell’Amministrazione, il cui perseguimento risulta minacciato dalla permanenza del dipendente cui sono contestati fatti, rilevanti anche penalmente, come nel caso che occupa, con pregiudizio del regolare svolgimento dello stesso servizio che invece l’adozione del provvedimento interrompe temporaneamente.
In altri termini, la valutazione che l’Amministrazione deve fare attiene non già all’accertamento delle circostanze e dei fatti addebitati, e della loro fondatezza, il cui esame si svolge invece nell’ambito dei pertinenti procedimenti disciplinari e/o penali, quanto all’incidenza che le riferite circostanze sono suscettibili di provocare in termini di turbamento dell’ordinato svolgersi della cosa pubblica e del prestigio che la stessa Amministrazione ha il preciso dovere di salvaguardare, anche impedendo, sia pure temporaneamente, al dipendente che lo minaccia, per essergli contestati fatti la cui gravità coinvolge anche profili penali, il proseguimento del servizio, fatta salva la successiva reintegrazione nella posizione giuridica ed economica sospesa, ove ne ricorrano gli estremi (cfr. C.S., Sez. IV, 12 maggio 2006 n. 2656 e Sez. V, 3 ottobre 2003 n. 5740).
Da quanto sopra deriva che il contenuto motivazionale del provvedimento in parola può risultare anche implicitamente dalla gravità dei fatti contestati al dipendente, a maggior ragione ove gli stessi, come nel caso in esame, hanno rilevanza penale, in relazione alla qualifica ed ai compiti svolti dal medesimo, anche sotto lo specifico aspetto del concreto turbamento che la riammissione, con riferimento alla sua personalità, nonché all’eventuale risonanza ambientale del fatto ascrittogli, possa determinare sull’attività della stessa Amministrazione.
In sostanza, la pendenza di un procedimento penale, in attesa dei definitivi accertamenti circa gli addebiti contestati, può manifestare in sè l’incompatibilità della prestazione del servizio del dipendente coinvolto con l’interesse pubblico, comportando la prosecuzione dello stesso il turbamento dell’immagine della Pubblica Amministrazione sotto il profilo della sua affidabilità.
Alla luce dei principi enunciati, deve ritenersi che il provvedimento impugnato risulta esente dai dedotti profili di censura (violazione dei principi generali regolanti l’esercizio del potere discrezionale, ingiustizia manifesta, difetto di istruttoria, omessa comparazione dell’interesse pubblico con quello privato, difetto di motivazione), in quanto viene dato conto dell’avvenuto esercizio dell’azione penale a carico del ricorrente (appuntato scelto dell’Arma dei Carabinieri) in relazione ad una tipologia di reati (associazione per delinquere, furto aggravato, porto abusivo di arma) che ex se costituiscono idoneo e sufficiente presupposto per l’adozione del rimedio che l’ordinamento ha previsto al fine del contenimento del pregiudizio della credibilità e prestigio delle proprie istituzioni, di cui, di norma, gli uffici pubblici devono godere, ed in particolare modo quelli preposti al servizio della sicurezza pubblica e privata.
Cionondimeno, l’Amministrazione con il provvedimento impugnato e con gli atti sottesi allo stesso (prodotti in giudizio) ha dato anche conto: della grave natura dei reati cui il ricorrente è chiamato a rispondere, per cui il ricorrente peraltro è stato arrestato in flagranza; che, a cagione delle gravissime condotte antigiuridiche, il ricorrente medesimo non può godere della fiducia necessaria per lo svolgimento delle delicate funzioni istituzionali; del rilevante nocumento che deriva dei fatti de quibus agli interessi ed al prestigio dell’Arma; che i fatti-reati sottesi al procedimento penale collidono gravemente con gli interessi istituzionali e con le aspettative riposte dalla comunità civile nell’attività di ogni operatore di tutore dell’ordine.
Privo di consistenza è parimenti il rilievo mosso dal ricorrente circa la tardività nell’adottare il censurato provvedimento di sospensione con riferimento alla sua scarcerazione, dal momento che lo stesso è stato emesso non appena si è concretizzato il previsto presupposto giuridico della sottoposizione a procedimento penale;
Ritenuto, pertanto, che il ricorso va respinto e che sussistono sufficienti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio, tenuto conto della particolare natura della controversia;
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Sezione Sesta, respinge il ricorso in epigrafe indicato.
Spese compensate.
Ordina che la presenta sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli il 4 aprile 2007, in Camera di Consiglio, con l’intervento dei signori magistrati:
– Filippo Giamportone, Presidente ed estensore;
– Maria Abbruzzese, Consigliere;
– Ida Raiola, Referendario.