In molti casi la persona offesa dal reato di stalking si trova di fronte all’insuperabile difficoltà di fornire la “prova”. Secondo l’indirizzo giurisprudenziale consolidato, la deposizione della persona offesa dal reato può essere assunta come fonte di convincimento al pari di ogni altro mezzo di prova. Il Giudice, peraltro, è tenuto a compiere un esame sull’attendibilità intrinseca del dichiarante, oggettiva e soggettiva, che deve essere particolarmente penetrante e rigoroso, in special modo nei casi in cui fossero carenti dati obiettivi emergenti dagli atti a conforto delle affermazioni della vittima. Le dichiarazioni della persona offesa possono anche essere assunte da sole come fonte di prova.
Trib. Napoli, Sentenza 30 giugno 2009 – Reato di cui all’art. 612 bis c.p. La deposizione della parte offesa, nonostante sia portatrice di un interesse antagonista di quello dell’imputato, pertanto, non necessita di riscontri oggettivi e non può essere valutata con un criterio differente da quello utilizzato per una persona estranea, nonostante sia sempre necessario un controllo di credibilità e di attendibilità, particolarmente presentante solo ove il suo contenuto sia contrastato da più elementi di prova (Cass. 28 novembre 2002 – 23 gennaio 2003 n. 3162).
Il giudizio di attendibilità del testimone o della persona offesa, inoltre, correttamente può essere circoscritto solo ad una parte della sua deposizione. In tema di prova testimoniale, infatti, trova applicazione il principio della “scindibilita” della valutazione, da intendersi nel senso che il giudice può ritenere veritiera una parte della deposizione e, nel contempo, disattendere altre parti di essa (cfr. Corte di cassazione 6 luglio 1998 n. 7900; Corte di cassazione 25 luglio 1991 n. 8123; Corte di cassazione 3 novembre 1992 n. 10625). Tuttavia, in siffatte ipotesi, il giudicante deve dare conto, con adeguata motivazione, delle ragioni che lo hanno indotto a tale diversa valutazione e deve anche chiarire i motivi per i quali il giudizio espresso non si risolve in un complessivo contrasto logico – giuridico della prova (Cass. 22 aprile 1998, Martello).
TRIBUNALE DI NAPOLI
UFFICIO DEL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
SEZIONE QUARTA
ORDINANZA APPLICATIVA DELLA MISURA CAUTELARE DEL DIVIETO DI AVVICINAMENTO AI LUOGHI FREQUENTATI DALLA PERSONA OFFESA
(art. 282 ter c.p.p.)
Il Giudice per le indagini preliminari dott. Luigi Giordano;
Letta la richiesta del Pubblico Ministero pervenuta il 19 giugno 2009 di applicazione della misura della custodia cautelare di cui all’art. 282 ter c.p.p. nei confronti di C. S.
in ordine ai seguenti reati:
a) del delitto di cui all’art. 612-bis c.p. perché, non accettando la decisione di I. F. di procedere alla separazione legale, la pedinava, controllava, anche tramite terzi, i suoi movimenti, si recava sul posto di lavoro della medesima inveendo contro di lei davanti ai colleghi, le telefonava ossessivamente chiedendo contezza del contenuto delle telefonate, la minacciava ed ingiuriava di continuo, anche per strada; con tali reiterate e costanti condotte procurando alla I. un perdurante e grave stato di ansia ed il fondato timore di aggressioni gravi alla propria incolumità.
In N. dal marzo 2009 ad oggi; condotta in atto
b) del delitto di cui all’art. 572 c.p. perché, picchiandola ed ingiuriandola di continuo, anche quando la stessa era in stato interessante ed anche alla presenza dei figli minori, sottoponeva la medesima ad un regime di vita intollerabilmente vessatorio.
In N., sino al marzo 2009
c) del delitto di cui agli artt. 81, 574, c.p. perchè, in diverse occasioni, sottraeva il figlio minore G. di anni dieci alla potestà genitoriale della madre che sapeva di averlo mandato a scuola.
In N., sino al 27.5.2009, ultimo episodio
d) del delitto di cui agli artt. 612 cpv, 614 ultimo comma perché, dopo aver ripetutamente minacciato di morte la I., la seguiva sino a casa dei genitori ed ivi prendeva a calci il cancello posto avanti la porta, buttandolo giù, e facendo ingresso nella predetta abitazione.
In N. il 29.3.2009
OSSERVA
I gravi indizi di colpevolezza.
1. Con denuncia presentata in data …….., I. F. ha riferito di essere sposata da circa dieci anni con C.S.. Il rapporto, fin dal fidanzamento, è sempre stato turbato dalla violenza e dalla prepotenza del coniuge. Dal matrimonio sono nati due bambini, di dieci e quattro anni. Nel corso della vita coniugale è stata più volte percossa, a seguito di litigi causati dai più futili motivi e molto spesso dinanzi ai bambini. In una di queste circostanze, il marito le ha rotto il timpano, costringendola ad un delicato intervento chirurgico. Un’altra volta le ha rotto il dito e più volte le ha tirato i capelli, staccandola anche una ciocca
Ella ha precisato: “L’ultimo episodio, risalente al ……., si è concluso con la sua decisione di cacciarmi di casa a seguito di un ennesimo litigio. Io, esasperata da questi comportamenti, ho colto l’occasione e mi sono subito trasferita a casa dei miei genitori, dove tutt’ora risiedo con i miei due bambini. Durante la discussione mio marito mi ha apostrofato con volgarità di ogni sorta: “vattenn, mi hai fatt nu bucchin, sei una puttana e una bucchina”. Giunti a questo punto, io feci per andare a preparare un borsone dove mettere le cose necessarie per andare via mentre lui continuava a minacciarmi urlando: “Ti ammazzo, t’aggia accirer”. Questa scesa si è svolta alla presenza dei figli. Le urla e le minacce sono state udite da più persone all’interno del palazzo, ma anche nel vicinato al punto che addirittura i genitori della denunciante, che abitano a pochi metri da noi, sentendo quanto stava accadendo, si sono allarmati. Il padre, in particolare, ha cercato di intervenire per riportare la calma, ma è stato invitato dall’indagato a non intromettersi in questa vicenda. La I. ha aggiunto che, a questo punto: “Dopo poco che ero andata via, però, mio marito, con una furia incontenibile si presenta nel palazzo dove abitano i miei genitori, riesce a varcare la soglia di ingresso fino a giungere al cancello che consente di entrare in casa, lo butta giù con un calcio e, incurante della violazione del domicilio dei miei genitori, incomincia ad inveire contro di me perpetrando le minacce di morte che mi aveva fatto in precedenza. Fortunatamente, in quel momento in casa dei miei genitori c’erano anche i miei fratelli che sono riusciti a braccarlo, ma ciononostante, è riuscito ugualmente a raggiungermi e a farmi cadere in terra con una spinta. A seguito delle urla e del trambusto causato dalla sua aggressione, sono giunti sul luogo molti dei condomini che, unitamente ai miei fratelli, sono riusciti a portarlo via, ma mio marito, divincolandosi dalla presa, ha sferrato un pugno contro un vetro, rompendolo”.
Dal mese di marzo in poi, dunque, la denunciante vive con i genitori, presso i quali ha condotto anche i due bambini (“che ho ritenuto di dover portare con me in quanto, se lasciati al padre, avrebbero vissuto in una situazione di totale abbandono, senza, però, impedire a mio marito di vederli ogni qual volta lo desideri”).
La denuncia, quindi, prosegue con l’illustrazione dei problemi sorti nella gestione del rapporto con i figli ed in particolare con il bambino di dieci anni.
La I. ha manifestato la sua ferma intenzione di chiudere ogni rapporto con il marito, sottolineando che l’attuazione di questa decisione è resa complicata anzitutto dal fatto che abitano a pochi metri di distanza e, soprattutto, dai suoi comportamenti che spingono nella direzione di un ricongiungimento. Ella ha riferito: “Non si contano, infatti, gli sms che mi invia quotidianamente in cui mi invita a ripensarci e a ritornare con lui, le telefonate che mi giungono dalla sua utenza mobile e talvolta anche da numeri anonimi in cui controlla le mie mosse, mi chiede cosa stia facendo in quel preciso momento proprio allo scopo di monitorare i miei comportamenti e i miei spostamenti. Ma vi è di più: dopo che io ho preso, ogni tanto, a non rispondere alle chiamate anonime e a quelle provenienti dalla sua utenza, di recente ha cominciato a telefonarmi dal numero di cellulare del bambino in modo da avere la sicurezza di poter interloquire con me”.
Il marito, infatti, ha sviluppato un sentimento di gelosia nei suoi confronti assolutamente asfissiante, sostenendo che alla base della decisione della moglie di allontanarsi non ci fossero i dissapori e i contrasti fisici e verbali che hanno sempre caratterizzato il loro rapporto, ma una presunta e infondata relazione con un altro uomo.
Recentemente, la sua gelosia lo ha portato addirittura a ricattare la moglie, minacciando di possedere delle fotografie che immortalerebbero la donna con altri uomini e di cui era entrato misteriosamente in possesso.
Ulteriori difficoltà e contrasti sono avvenuti sul luogo di lavoro della donna, dove il marito si è recato compiendo una “scenata”.
Il giorno 27.05.2009, ultimo giorno di scuola, infine, il marito ha prelevato il figlio dalla scuola, non riportandolo neppure a sera ed inducendola a sporgere una denuncia querela.
2. Secondo l’indirizzo giurisprudenziale consolidato, la deposizione della persona offesa dal reato può essere assunta come fonte di convincimento al pari di ogni altro mezzo di prova. Il Giudice, peraltro, è tenuto a compiere un esame sull’attendibilità intrinseca del dichiarante, oggettiva e soggettiva, che deve essere particolarmente penetrante e rigoroso, in special modo nei casi in cui fossero carenti dati obiettivi emergenti dagli atti a conforto delle affermazioni della vittima. Le dichiarazioni della persona offesa possono anche essere assunte da sole come fonte di prova (cfr., Corte di Cassazione 28 febbraio 1992, Simula; da ultimo, Corte di Cassazione 29 maggio – 22 agosto 2001 n. 31400, Cipolli; Corte di cassazione 16 febbraio – 15 maggio 2001 n. 19683).
Non è necessario, in ogni caso, verificare la sussistenza di riscontri esterni, non essendo applicabile il canone di valutazione stabilito dall’art. 192 c.p.p. (cfr., tra le altre, Corte di cassazione 17 marzo 1997 n. 2540).
La deposizione della parte offesa, nonostante sia portatrice di un interesse antagonista di quello dell’imputato, pertanto, non necessita di riscontri oggettivi e non può essere valutata con un criterio differente da quello utilizzato per una persona estranea, nonostante sia sempre necessario un controllo di credibilità e di attendibilità, particolarmente presentante solo ove il suo contenuto sia contrastato da più elementi di prova (Cass. 28 novembre 2002 – 23 gennaio 2003 n. 3162).
Il giudizio di attendibilità del testimone o della persona offesa, inoltre, correttamente può essere circoscritto solo ad una parte della sua deposizione. In tema di prova testimoniale, infatti, trova applicazione il principio della “scindibilita” della valutazione, da intendersi nel senso che il giudice può ritenere veritiera una parte della deposizione e, nel contempo, disattendere altre parti di essa (cfr. Corte di cassazione 6 luglio 1998 n. 7900; Corte di cassazione 25 luglio 1991 n. 8123; Corte di cassazione 3 novembre 1992 n. 10625). Tuttavia, in siffatte ipotesi, il giudicante deve dare conto, con adeguata motivazione, delle ragioni che lo hanno indotto a tale diversa valutazione e deve anche chiarire i motivi per i quali il giudizio espresso non si risolve in un complessivo contrasto logico – giuridico della prova (Cass. 22 aprile 1998, Martello).
3. Nel caso di specie, le dettagliate accuse della I. risultano pienamente credibili. La donna, infatti, ha fornito un racconto coerente e ragionevole. Ella ha collegato le gravi condotte di molestia alla decisione da lei assunta di procedere alla separazione legale ed alla conseguente non accettazione di tale decisione da parte del coniuge. Ha quindi riferito una serie di episodi di violenza e di condotte di persecuzione in atto con dovizia di particolari.
Di questo racconto colpiscono i toni equilibrati e la preoccupazione della tutela dei figli, continuamente esposti alle aggressioni ed incursioni paterne e, addirittura, nel caso del figlio maschio, anche alla formazione scolastica.
4. Il Pubblico Ministero ha ipotizzato la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza dell’indagato in ordine al reato di cui all’art. 612 bis c.p. in relazione alle condotte tenute dal marzo 2009 e tuttora in atto.
Perché sussista la fattispecie delittuosa degli atti persecutori introdotta dal d.l. 23 febbraio 2009 n. 11, invero, è necessario il ripetersi di una condotta di minaccia o di molestia. Le condotte, inoltre, debbono produrre l’effetto di provocare disagi psichici (un perdurante e grave stato di ansia o di paura) ovvero timore per la propria incolumità e quella delle persone care o ancora una alterazione delle proprie abitudini di vita.
Il quid pluris che caratterizza il reato in esame rispetto alle minacce ed alle molestie, in sintesi, è costituito da due elementi:
a) la reiterazione delle condotte, sicché l’illecito può ascriversi nel novero dei reati abituali;
b) la produzione di un grave e perdurante stato di ansia o di paura o di un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da una relazione affettiva o una alterazione, non voluta, delle proprie abitudini di vita. Si tratta, quindi, di un delitto di danno e di evento, sebbene la norma, richiedendo la determinazione di uno stato di ansia “grave” o di un “fondato” timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto sembra evocare una valutazione di idoneità ex ante della condotta.
Il dolo richiesto è generico e deve necessariamente ricomprendere anche la rappresentazione dell’evento quale conseguenza della reiterata abituale voluta dal suo autore.
5. Nel caso di specie, sussiste un grave quadro indiziario del reato citato. La persona offesa, infatti, ha raccontato di aver subito una serie di atti che possono essere definiti persecutori a partire dal mese di marzo del 2009. Dal momento in cui ella si è determinata a lasciare il domicilio familiare ed a tornare presso i genitori, la persona offesa ha subito una serie di condotte reiterate di minaccia e di molestia che le hanno cagionato un perdurante e grave stato di ansia o di paura e le hanno ingenerato un fondato timore per l’incolumità propria e del figlio. Gli atti sono stati compiuti per mezzo del telefono, di minacce verbali, di violenze, di ricatti. I comportamenti di sorveglianza della vittima posti in essere dall’indagato sono stati intrusivi e reiterati (ad esempio, con continue telefonate, sms, pedinamenti – “se mi incontra personalmente mi bracca” – o fotografie) e tali da turbare le normali condizioni di vita della persona offesa, generando in lei uno stato di soggezione e di disagio emotivo anche sul luogo di lavoro, al punto da costringerla a modificare le sue intenzioni o le sue abitudini di vita (“… fa di tutto per impedirmi di muovermi e mi costringe a rientrare a casa per non incorrere in conseguenze più gravi … spesso esco di casa solo se è inevitabile proprio per evitare di incontrarlo e di dovergli rendere conto delle mie mosse e dei miei spostamenti …”).
6. La fattispecie descritta dall’art. 612 bis c.p. prevede una clausola espressa di sussidiarietà. Deve ritenersi, in linea generale, che detto reato non possa concorrere con quello di maltrattamenti, nel quale gli atti persecutori sono assorbiti.
Nel caso in esame, peraltro, deve ritenersi la concorrenza tra di due illeciti, ravvisandosi maltrattamenti nella condotta tenuta dall’indagato fino al marzo 2009, epoca in cui la persona offesa si è allontanata dall’abitazione e il reato di cui all’art. 612 bis nelle condotte successive a questa data. La denunciante, infatti, ha raccontato di una serie di fatti, avvenuti dall’inizio del rapporto con il coniuge e proseguiti fino al marzo 2009, di molestie, di minacce, di ingiurie e di percosse che appaiono assorbite dal reato di cui all’art. 572 c.p. e di almeno due gravi fatti di lesioni (rottura del timpano e di un dito) che, se per un verso la giurisprudenza tende a ritenere in concorso formale con i maltrattamenti, per altro verso sono altamente sintomatici del clima di violenza esistente nella famiglia.
Le esigenze cautelari
7. Ricorrono le esigenze cautelari:
– di cui all’art. 274 lett. c) c.p.p., in quanto, per le specifiche modalità e circostanze del fatto (desumibili dall’aggressività mostrata in più occasioni dall’indagato), per la personalità e per il comportamento complessivamente tenuto (privo della minima considerazione e rispetto dei diritti fondamentali della ragazza), vi è il concreto pericolo che egli perseveri nell’azione delittuosa ma, soprattutto, che la stessa sortisca epiloghi peggiori di quelli attuali;
– di cui alla lettera a) dell’art. 274 c.p.p., perché le indagini da compiere potrebbero essere gravemente pregiudicate ove le condotte dell’indagato non fossero limitate.
La misura cautelare maggiormente idonea ad evitare l’ulteriore prosieguo delle suindicate condotte possa, allo stato, essere, quella di cui l’art. 282-ter c.p.p. nei termini di cui ai commi l, 2, 3 del c.p.p., ossia
l) il divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa (abitazione e pressi della stessa, luogo di lavoro, abitazione dei genitori);
2) il divieto di avvicinamento a luoghi frequentati da prossimi congiunti della medesima, tra i quali anche i figli, o da persone a lei legate da relazione affettiva, anche amicale;
3) il divieto di comunicare con la persona offesa e con le persone di cui al punto 2). Il giudicante si riserva, all’esito dell’interrogatorio ex art. 294 c.p.p., di disciplinare l’eventuale rapporto dell’indagato con i figli.
Tanto premesso,
Letti gli artt. 272 e ss. c.p.p..
DISPONE
Nei confronti di C. S. la misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa I. F. e, per l’effetto, prescrive a C.S.
1) di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa ovvero di mantenere una distanza di almeno 100 metri da tali luoghi o dalla persona offesa;
2) di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dai prossimi congiunti della persona offesa tra i quali anche i figli, riservandosi, all’esito dell’interrogatorio ex art. 294 c.p.p., di disciplinare l’eventuale rapporto dell’indagato con i figli o da persone con questa conviventi o comunque legate da relazione affettiva ovvero di mantenere una distanza di almeno 100 metri da tali luoghi ovvero da tali persone.
3) di non comunicare, attraverso qualsiasi mezzo, con le persone sub 2).
Manda alla cancelleria per la comunicazione del presente provvedimento all’autorità di pubblica sicurezza competente, ai fini dell’eventuale adozione dei provvedimenti in materia di armi e munizioni. Essi sono altresì comunicati alla parte offesa e ai servizi socio-assistenziali del territorio.
Dispone che la presente ordinanza dopo l’esecuzione venga depositata unitamente agli atti allegati alla richiesta del P.M. presso la cancelleria di questo ufficio e che, a cura della cancelleria, venga dato avviso ai difensori in occasione della notifica dell’avviso dell’interrogatorio ex art. 294 c.p.p..
Manda alla Cancelleria di trasmettere immediatamente la presente ordinanza in duplice copia al P.M. in sede che ha richiesto la misura per l’esecuzione.
Manda alla Cancelleria per gli ulteriori adempimenti di competenza.
Napoli, il 30 giugno 2009
IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
Dott. Luigi Giordano