Il danno non patrimoniale si definisce come il danno conseguente alla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica ed è categoria omnicomprensiva tale da ricomprende in sé qualsiasi tipo di pregiudizio all’integrità dell’individuo in tutti i suoi aspetti dinamico-relazionali, sia quindi che lo stesso si strutturi come danno fisico alla salute (art. 32 cost.), che come danno da peggioramento della qualità di vita, che sotto il profilo della lesione dei diritti inviolabili della persona alla serenità e tranquillità familiare (art. 2, 29 e 30 cost.).
Con la sentenza n. 26972 risalente all’11 novembre 2008, le Sezioni Unite della Corte Suprema di Cassazione giungono definitivamente ad ammettere la risarcibilità del danno non patrimoniale anche nell’ambito della responsabilità contrattuale, per l’ipotesi in cui l’inadempimento violi contemporaneamente i diritti e doveri derivanti dal contratto ed i valori costituzionali primari della persona umana. La giurisprudenza, precorrendo in maniera mirabile quello che sarebbe stato l’orientamento poi recepito dalla Cassazione in composizione plenaria nel 2008, parte dall’osservazione per cui certe tipologie di obbligazioni contrattuali sono volte per loro stessa essenza alla tutela dell’integrità psico-fisica del creditore e conclude nel senso che è lo stesso inadempimento dell’obbligazione protettiva assunta, a costituire essa stessa fatto generativo della lesione del diritto all’integrità della persona.
Il ragionamento delle Sezioni Unite trae, infatti, avvio dal rilievo per cui “dalla semplice inclusione di un diritto inviolabile della persona in una norma di rango costituzionale, deriverebbe la necessità di una sua tutela sul piano civilistico e questa tutela dovrebbe necessariamente risolversi nel risarcimento del danno non patrimoniale eventualmente patito dal titolare del diritto medesimo, costituendo, detto risarcimento, la forma minima concepibile di sua tutela quale che sia la fonte della responsabilità, contrattuale o extracontrattuale”
Il sistema del risarcimento del danno non patrimoniale, nella valorizzata lettura dell’art. 2059 c.c., in combinato disposto con l’art. 2 Cost., viene quindi ad abbracciare tutte le possibili manifestazioni che tale lesione assume nel tradursi in danno ed indipendentemente dall’ambito contrattuale o extracontrattuale in cui tale lesione si è prodotta.
A tal fine le Sezioni Unite valorizzano l’argomento secondo cui l’obbligazione può corrispondere ad un interesse anche non patrimoniale del creditore (art. 1174 c.c..), e per tale via giungono ad affermare che la funzione in concreto del contratto, che deve essere stimata alla stregua della relativa causa in concreto, ben può essere quella protettiva di interessi di natura esistenziale del creditore della prestazione stessa.
Da ciò consegue che se l’inadempimento contrattuale abbia comportato, in concreto, la lesione anche di diritti inviolabili della persona, ben potrà aprirsi per il danneggiato la via del risarcimento del danno non patrimoniale da inadempimento, in quanto ne rappresenti una sua conseguenza immediata e diretta (art. 1223 c.c.). Per tale via, le Sezioni Unite attribuiscono valenza generale all’art. 1218 c.c., il cui ambito applicativo viene oggi a ricomprendere non solo il danno patrimoniale ma anche quello non patrimoniale, qualora l’inadempimento abbia determinato la lesione di diritti inviolabili della persona.
L’art. 1218 c.c., nella parte in cui dispone che il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, non può quindi essere riferito al solo danno patrimoniale, ma deve ritenersi comprensivo del danno non patrimoniale, qualora l’inadempimento abbia determinato lesione di diritti inviolabili della persona. Contestualmente la Cassazione, in composizione plenaria, restituisce un’interpretazione particolarmente ampia del disposto dell’art. 1223 c.c., a norma del quale il risarcimento del danno da inadempimento o da ritardo contrattuale, deve comprendere sia la “perdita subita” che il “mancato guadagno”, in quanto ne siano “conseguenza immediata e diretta”. In base all’ampia interpretazione dell’art. 1223 c.c. offerta dalla Corte a Sezioni Unite, il termine “perdita” è quindi oggi idoneo a ricomprendere nel suo campo di applicazione la privazione di qualsiasi cosa o svantaggio, anche se privo del carattere della pecuniarietà, così come le “mancate utilità” altro non sono che un dover essere costretti ad agire altrimenti, un non poter più fare e quindi richiamano entro il suo raggio di azione tutte quelle fattispecie che precedentemente rientravano nella categoria del c.d. danno esistenziale.