1 INDISSOLUBILITÀ DEL MATRIMONIO
Il matrimonio canonico è al tempo stesso un sacramento, cioè un segno visibile ed efficace della Grazia divina, ed un contratto (foedus) con cui l’uomo e la donna stabiliscono tra loro la comunione di tutta la vita.
Tutta la normativa canonica esprime una particolare tutela (favor iuris) vista la grande importanza del matrimonio per il bene dei fedeli e della Chiesa.
Possiamo affermare dalla lettura del Can. 1055 CIC che il fondamento del matrimonio è il consenso delle parti che deve essere manifestato avendo una sufficiente cognizione della natura e dei fini del matrimonio, allo stesso tempo è imprescindibile che gli sposi si promettano mutua fedeltà. Lo stesso principio è espresso dal Can. 776 § 1 CCEO.
Il Codice individua gli elementi essenziali del matrimonio tra battezzati, che si configura proprio come questa comunione stabile in base ad un progetto di vita comune cui si associa la dimensione della sacramentalità: «Essentiales matrimonii proprietates sunt unitas et indissolubilitas, quae in matrimonio christiano ratione sacramenti peculiarem obtinent firmitatem» (Can. 1056 CIC).
L’unione degli sposi per tutta la vita (consortium totius vitae) costituisce l’essenza del matrimonio le cui proprietà essenziali sono unità ed indissolubilità.
Anzitutto: «Unità significa che l’unione propriamente coniugale si realizza soltanto tra un solo uomo e una sola donna, escludendosi pertanto ogni altra relazione maritale simultanea» (A. D’Auria, Il matrimonio nel diritto della Chiesa, Roma 2007, 34).
Inoltre: «Il fondamento della indissolubilità del vincolo risiede nel fatto che la donazione personale di sé nella relazione coniugale postula l’assenza di limiti temporali, senza i quali soltanto può darsi veramente una piena e reale donazione tra i coniugi. Indissolubilità significa dunque che il matrimonio dura per tutta la vita degli sposi, escludendosi in ogni caso sia uno scioglimento del vincolo per mera volontà o per arbitrio degli stessi coniugi, così come ogni dissoluzione da parte di una pubblica autorità di origine umana» (Ivi, 35).
Tali elementi si ritrovano chiaramente anche nelle definizioni del Codice dei canoni delle Chiese orientali (CCEO), in particolare quando afferma che: «Ex Christi institutione matrimonium validum inter baptizatos eo ipso est sacramentum, quo coniuges ad imaginem indefectibilis unionis Christi cum Ecclesia a Deo uniuntur gratiaque sacramentali veluti consecrantur et roborantur» (Can. 776 § 2 CCEO).
Il matrimonio diventa anche un diritto (ius connubii) per l’uomo e la donna che non può essere limitato o sradicato da alcuno. Nondimeno, il suo esercizio può essere regolato dal legislatore per il bene e la dignità del matrimonio stesso.
L’ordinamento giudiziario canonico riserva una cura speciale alla disciplina del matrimonio, infatti: «Causae matrimoniales baptizatorum iure proprio ad iudicem ecclesiasticum spectant» (Can. 1671 §1 CIC).
Invero, è sottoposto alle formalità e alle necessarie legittimazioni prescritte dal diritto canonico il matrimonio tra due cattolici, quello tra un cattolico ed un altro cristiano battezzato non cattolico, nonché quello tra una parte cattolica ed un non battezzato.
Sullo stesso tenore, sia il Can. 1059 CIC, sia il corrispondente Can. 780 § 1 CCEO, fanno riferimento ad una competenza regolamentativa non solo del diritto divino ma anche del diritto canonico per tutti i matrimoni in cui è coinvolto un battezzato cattolico.
«Consapevole della sua peculiare missione di servizio totale alla vita sacramentale di fede dei suoi fedeli, la Chiesa, sul piano visibile sella sua attività, rivendica a sé, come proprio, esclusivo e indipendente, il naturale diritto-dovere della pubblica autorità di regolare giuridicamente la valida celebrazione del matrimonio dei battezzati, e quindi di determinare positivamente sia l’abilità giuridica delle parti stabilendo anche impedimenti dirimenti, sia la forma della manifestazione del consenso» (L. Sabbarese- L. Lorusso, Sposarsi in chiesa. Il diritto matrimoniale in Oriente ed Occidente, Bologna 2018, 17-18).
Possiamo affermare convintamente che unità e indissolubilità appartengono per loro stessa natura ad ogni matrimonio, non solo a quello tra cristiani. Tuttavia, in quest’ultimo, l’unione nuziale ha nell’indissolubilità una significanza propria: sacramentale, perché immagine dell’unione di Cristo alla Chiesa sua sposa.
Nella concezione delle Chiese Orientali Ortodosse, l’unità e l’indissolubilità del matrimonio sono affermate chiaramente sia perché questa è la volontà divina, sia perché la stessa unione sponsale è un sacramento: «il matrimonio è realmente uno e indissolubile e la morte di uno degli sposi non è sufficiente a romperlo, in quanto la mutua donazione intime e profonda ha un carattere totale ed assoluto» (N. Loda, Il matrimonio e la seconda unione nelle Chiese Orientali Ortodosse, in L. Sabbarese- L. Lorusso (cur.), Oriente e Occidente: respiro a due polmoni, Roma 2014, 99).
2 Prassi Ortodossa
Gli elementi essenziali dell’unità e della indissolubilità del matrimonio sono dottrina costante in tutte le realtà ecclesiali, così come affermato dalle fonti della tradizione e patristiche, tanto da essere magistero comune anche nelle Chiese Orientali non Cattoliche.
Pertanto, «il matrimonio, come tutti i sacramenti, se da una parte realizza in profondità le dinamiche dell’esistenza umana, dall’altra ha come scopo il raggiungimento del suo fine ultimo che è la theosis, la divinizzazione (theosis, theopoììsis) cioè la condizione in cui l’uomo è introdotto nel mysterion con l’incarnazione e l’umanizzazione di Dio» (Ivi, 98).
Tanto la Chiesa di Roma quanto la Chiesa Ortodossa riconoscono il carattere sacramentale del matrimonio e la differenza fra il matrimonio naturale e sacramentale. Di fatti, entrambe le tradizioni ammettono la competenza ecclesiastica nella cause matrimoniali e riconoscono la grazia sacramentale che dà una speciale forza ai matrimoni tra battezzati. Invero, entrambe le tradizioni riconoscono l’indissolubilità del matrimonio.
Ancorché: «per l’Ortodossia la grazia del sacramento del matrimonio non può essere né sciolta né annullata, per quanto riguarda l’aspetto spirituale liturgico, morale, ma neppure sotto il profilo giuridico-canonico e formale. Quindi la responsabilità della Chiesa relativamente al matrimonio è solamente pastorale» (Ivi, 99).
Gli Ortodossi insegnano che il matrimonio deve essere indissolubile, tuttavia non escludono che l’eventualità contraria si realizzi. Essa resta sicuramente una grave trasgressione del comando divino di non sciogliere ciò che il Signore ha unito, ma è imputabile alla fragilità della stessa natura umana.
Un divorzio è dunque ammesso, ma come un eccezione al principio generale dell’unione indissolubile del matrimonio sacramentale, manifestando in tal modo una concessione che viene incontro alla debolezza e al peccato dell’uomo e del suo status imperfetto.
Il divorzio resta condizionato ai soli casi specifici, in cui l’Ortodossia ha ritenuto di poter intervenire sul matrimonio indissolubile: «Le cause che giustificano il riconoscimento di un divorzio civile da parte della Chiesa sono dalla teologia racchiuse in una triplice categoria: l’ adulterio, al quale viene assimilata una serie di comportamenti disonorevoli; la morte, alla quale vengono assimilate la morte civile o condanna a pena perpetua, la morte psichica o malattia incurabile, la morte religiosa o apostasia della fede, la morte mistica o ingresso in monastero; e, infine, i crimini che escludono dal regno di Dio (cf. 1Cor 6,5-10), fra i quali viene elencata una serie di comportamenti particolarmente peccaminosi e nefandi» (L. Sabbarese- L. Lorusso, Sposarsi in chiesa, 33).
Anche per la Chiesa Ortodossa allora il matrimonio è unico ed è sacramento, ma se fallisce, la Chiesa si pone il problema della salute spirituale degli sposi e delle loro anime affinché non si perdano. Pertanto: «Il matrimonio per l’Ortodossia è un sacramento che ricevono gli sposi, attraverso la benedizione epicletica episcopale e sacerdotale, ma, in quanto sacramento, suppone la libera cooperazione dell’uomo, laddove è accolta la grazia sacramentale, che, in atri casi, può essere rifiutata da uno o entrambi i coniugi attraverso la porneia. Verificatosi tale rigetto, si concretizza un male, un peccato e la Chiesa, dopo aver constatato tale rifiuto con un divorzio, nell’applicare la sua economia, concede la possibilità di una nuova unione, insieme ad una nuova vita dopo una epitimìa, cioè dopo penitenza e conversione. In tal modo la Chiesa non tradisce la norma evangelica del matrimonio» (N. Loda, Il matrimonio e la seconda unione…, 100).
La cura amorevolmente materna della Chiesa verso coloro che hanno visto rovinarsi il proprio matrimonio, porta a questa scelta di usare misericordia, sciogliendo un vincolo che si mostra dannoso per le persone, allontanandole di fatto da una vita di grazia cristiana.
«Il nuovo legame, permesso per i vedovi o per coloro che già abbiano celebrato un matrimonio cristiano e si siano separati e divorziati, è solamente tollerato da parte della Chiesa che, in considerazione della imperfezione, della debolezza umana e del peccato, usa compassione e misericordia. In tal modo, rigettando un errore umano, colpevole o no, con il pentimento, le epitimìe e la conversione, si acconsente una nuova unione ed esperienza come il primo matrimonio, una nuova partenza nella vita dei fedeli» (Ibidem).
Come abbiamo già visto precedentemente – per le Chiese Orientali Ortodosse – la morte di uno degli sposi non è sufficiente a interrompere il legame matrimoniale, in quanto l’indissolubilità sacramentale ha un carattere totale ed assoluto. Inoltre, bisognerà estendere il concetto di morte oltre al senso fisico, per comprendervi anche quello morale o religioso.
In tal senso: «Nell’Ortodossia il legame coniugale è pertanto in sé unico ed eterno: neanche la morte avrebbe la forza di scioglierlo. Il matrimonio è un mysterion o sacramento unico e non può essere che uno, costituendo un legame eterno che la morte stessa non può distruggere. Quindi non può esistere un secondo matrimonio e la seconda unione per i vedovi o divorziati è solamente un mettere ordine, una riparazione con la realtà umana e del mondo che la Chiesa accorda attraverso l’oikonomia e l’accomodamento pastorale per il bene delle anime» (Ivi, 100-101).
Quanto al modo di procedere per sancire il divorzio bisogna distinguere tra gli Stati ove la legge civile regola queste procedure, ad esempio la Grecia, e gli Stati dove la Chiesa Ortodossa opera direttamente, ad esempio in Libano (Cfr. L. Sabbarese- L. Lorusso, Sposarsi in chiesa, 31) .
3 OIKONOMIA
Il termine greco che indica le nuove nozze è digamìa. Fa riferimento ad una nuova unione tra una parte divorziata o in vedovanza con una persona libera. Nella realtà ecclesiale orientale digamìa esplicita una nuova unione ammessa dalla Chiesa per soccorrere il fedele che ha visto naufragare o terminare il proprio matrimonio, ma esclude la dinamica di un nuovo sacramento perché assolutamente non contempla l’elemento della benedizione eplicletica e da qui un nuovo matrimonio sacramentale.
Su tal punto, c’è da riconoscere che manca una terminologia univoca, con espressioni che cambiano nel tempo. Lo stesso si dica per l’uso della parola divorzio, per la cui definizione manca un atto ecclesiale ufficiale che la individui.
Quando è impossibile il ricongiungimento dei coniugi separati definitivamente, la Chiesa Ortodossa fa esperienza di una “morte del matrimonio” (Cfr. N. Loda, Il matrimonio e la seconda unione…, 117). In tal senso, la Chiesa non emette una sentenza giudiziaria ma semplicemente constata il venir meno dei presupposti teologici tradizionali che sostengono l’esistenza di un matrimonio sacramentale, per cui a quei coniugi che soffrono la morte del loro matrimonio si concede pastoralmente la possibilità di una seconda unione, non più sponsale-sacramentale, ma in forma di liturgia penitenziale.
Questa posizione non è ammessa nella Chiesa Cattolica, che invece ritiene il matrimonio rato e consumato come assolutamente indivisibile (Cfr. Can. 1141 CIC). Neanche la suprema autorità della Chiesa può sciogliere quel legame che sacramentalmente ha reso i coniugi una caro. Solo la morte di uno dei coniugi lascia libero il sopravvivente di contrarre una nuova unione davanti alla Chiesa (Cfr. Can. 1141 CIC; Can. 853 CCEO).Tuttavia, l’ordinamento canonico ammette la possibilità di un controllo giudiziario sulla valida esistenza del matrimonio, potendo esprimere una sentenza di nullità delle nozze in seguito all’accertamento della mancanza di uno dei requisiti fondamentali per contrarre validamente il matrimonio.
Le seconde nozze, nell’ambito delle Chiese Orientali Ortodosse, costituiscono un cammino verso la salus animarum dei coniugi cui è concessa la nuova unione. Non mettendo in discussione la validità del primo matrimonio, ma riconoscendo la morte religiosa, spirituale o morale di quel sacramento.
«Per Oikonomia, nell’ambito del diritto canonico, si intende ogni decisone presa da una autorità legittima ecclesiastica che, nel caso concreto ed in maniera provvisoria ed eccezionale, si discosta dalla stretta applicazione (akribeia) dei canoni e delle norme disciplinari, con il fine di salvaguardare il bene comune della Chiesa, la comunione e la salus animarum» 8N. Loda, Il matrimonio e la seconda unione…, 119).
Non è una violazione della legge ecclesiastica, ma una applicazione più elastica e meno stretta del diritto.
Nel perseguire la cura pastorale per i suoi fedeli, la Chiesa Ortodossa agisce per ottenere benefici spirituali ed evitare pregiudizi scandalosi, pertanto il fine ultimo e macroscopico dell’Oikonomia è la salvezza delle anime in quanto fine soprannaturale di tutta l’attività della Chiesa di Cristo.
L’applicazione rigida dell’Akribeia ecclesiastica potrebbe pregiudicare il cammino verso la salvezza di coloro che sono rimasti soli in seguito alla “morte” del loro matrimonio, ed è in questi casi che l’Oikonomia subentra per soccorrere la fragilità, la debolezza e la peccaminosità dell’uomo.
Le nuove nozze diventano, in questo senso, un atto di misericordia e condiscendenza pastorale della Chiesa.
4 Liturgia Penitenziale
Il rito della seconda unione aiuta a comprendere meglio che le seconde nozze non sono un altro matrimonio.
La liturgia delle prime nozze è solenne, il suo culmine è la preghiera epicletica, il tutto per rappresentare in quel matrimonio sacramentale l’unione sacra di Cristo con la Chiesa sua sposa.
Le seconde nozze sono celebrate nel nascondimento, all’alba e non alla presenza della comunità, seguendo una liturgia penitenziale che chiede perdono a Dio della debolezza degli sposi, senza benedizione e preghiera epicletica.
La celebrazione nelle Chiese d’Oriente della seconda unione assume le vesti di un rito completamente diverso.
Anzitutto questa liturgia si caratterizza per la maggiore sobrietà, un tono generalmente meno festivo se paragonato a quello delle prime nozze. Centrali sono le due preghiere recitate dal sacerdote sugli sposi il cui contenuto è prevalentemente penitenziale. Il rito non inizia solennemente e le litanie sono più sobrie, si evitano le preghiere non opportune per la natura delle seconde nozze.
La prima delle due preghiere sacerdotali nella liturgia della seconda unione esprime un’invocazione a Dio il solo giusto, compassionevole e misericordioso, davanti cui si presenta l’uomo con la sua debolezza: «la liturgia sottolinea la condizione generale dell’uomo segnato dal peccato, e domanda a Dio di perdonare gli sposi e richiamarli alla penitenza, di essere condiscendente verso la loro debolezza e infermità, di concedere loro la penitenza del pubblicano, le lacrime della donna prostituta e la confessione del ladrone, affinché così possano impegnarsi nell’unità del loro amore e nella concordia a osservare i comandamenti di Dio e rendersi degni del regno dei cieli» (Ivi, 134-135).
La seconda preghiera di questa liturgia è rivolta all’intercessione di Cristo Signore. In ciò: «Si chiede di avere misericordia dei peccati di coloro che a lui si rivolgono, in quanto non tengono sotto controllo la passione ardente senza riuscire a non soccombere a causa del desiderio» (Ivi, 135).
Nella liturgia nuziale le corone poste sul capo degli sposi sono simbologia della grazia e del dono dello Spirito Santo in quanto epiclesi sul sacramento matrimoniale; pertanto nella seconda unione è stato vietato perché inconciliabile l’uso delle corone.
In conclusione, possiamo rilevare come dalla diversità delle liturgie per le prime e le secondo nozze, la Chiesa Ortodossa abbia voluto affermare anche nei segni visibili che solo il primo matrimonio è veramente sacramentale. Stante la indissolubilità di questa prima unione, le seconde nozze sono prive di valore sacramentale ed esprimono un’azione penitenziale.
5 Divorzio e nuove nozze con parte cattolica
Una interessante questione si pone quando una persona ortodossa, separata o divorziata, desidera celebrare un nuovo matrimonio con una persona cattolica.
La soluzione prospettata prevede che: «La Chiesa cattolica non riconosce però e non ritiene di poter riconoscere il divorzio a motivo dell’adulterio, come avviene in alcune Chiese ortodosse, né l’applicazione del principio di Oikonomia che considera contro il diritto divino, perché tali scioglimenti suppongono l’intervento dell’autorità ecclesiastica per rompere un patto patrimoniale valido. Ragione per cui un ortodosso divorziato non può contrarre valido matrimonio con una parte cattolica» (L. Sabbarese- L. Lorusso, Sposarsi in chiesa, 43-44).
In questo caso, al fine di poter celebrare nuovo matrimonio con parte cattolica, i cristiani ortodossi divorziati chiedono ai tribunali ecclesiastici cattolici la dichiarazione di nullità del matrimonio precedente.
Si tratta certamente di casi particolari ma la codificazione per le Chiese Cattoliche Orientali lo prevede: il Can. 781 CCEO afferma che, se la Chiesa deve giudicare della validità di un matrimonio di acattolici battezzati, bisogna tenere presente il diritto a cui le parti erano tenute al momento della celebrazione. E questa competenza vale anche per la Chiesa latina in virtù dell’art. 4 dell’Istruzione Dignitas connubii.
Ne consegue che: «La chiesa cattolica potrebbe pure in astratto riconoscere la dichiarazione di nullità di un matrimonio emanata dalla Chiesa ortodossa, secondo le proprie leggi e i propri impedimenti posti per la validità, anche se tali impedimenti non esistono nell’ordinamento canonico cattolico, sempre che non siano contrari al diritto divino» (Ivi, 43).
Contro questo ipotetico riconoscimento delle dichiarazioni di nullità di matrimonio della Chiesa Ortodossa sono anche i pronunciamenti del Pontificio Consiglio per i testi legislativi e del Supremo Tribunale della Signatura Apostolica (Cfr. Ivi, 44-45).
Quindi, nella fattispecie ipotizzata, non possono celebrarsi le nozze tra una parte cattolica ed un ortodosso divorziato e non può nemmeno essere riconosciuto un documento che annulla il precedente matrimonio della parte ortodossa.