La Corte di Cassazione, con la Sentenza 20 febbraio 2009 n. 4245, ha escluso la legittimazione del singolo condomino ad agire nei confronti dell’assicurazione stipulata dal condominio in persona dell’amministratore.
In particolare, la Suprema Corte ha ribadito il principio in ragione del quale la circostanza che il condominio sia un ente di gestione, sprovvisto di personalità giuridica, non comporta che, nel caso di polizza stipulata dal condominio in persona dell’amministratore, ciascun condomino possa sostituirsi all’amministratore stesso ed agire, nel proprio interesse, nei riguardi dell’assicuratore; la rappresentanza spetta, infatti, comunque all’amministratore ed il singolo condomino non può considerarsi singolarmente legittimato a rappresentare l’ente di gestione, contraente della polizza nell’interesse di tutti i partecipanti al condominio (tra le altre, cfr. Cass. 26 marzo 1996, n. 2678).
Corte di Cassazione, Sezione III civile, Sentenza 20 febbraio 2009, n. 4245
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la sentenza ora impugnata per cassazione la Corte d’appello di Ancona ha respinto il gravame proposto dal B. avverso la sentenza con la quale il Tribunale della stessa città aveva respinto la sua domanda diretta contro la Soc. Cattolica di Ass.ni per il pagamento dell’indennizzo assicurativo per danni da incendio subiti dal suo immobile e da alcune parti condominiali che egli aveva provveduto a ripristinare.
In particolare, il giudice d’appello ha escluso sia che nella specie potesse configurarsi una assicurazione per conto di chi spetta ex art. 1891 c.c. (così negando la legittimazione del B. all’azione verso la compagnia), sia che la polizza, stipulata dal condominio, fosse diretta a coprire dal rischio dell’incendio anche le parti di proprietà esclusiva.
Il ricorso per cassazione del B. è articolato in tre motivi. Risponde con controricorso la Soc. Cattolica di Ass.ni. Quest’ultima ha depositato memoria per l’udienza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con i primi due motivi (violazione artt. 1891, 1362 c.c. – vizi della motivazione) il ricorrente critica la sentenza laddove ha escluso che, nella specie, fosse stato stipulato un contratto assicurativo per conto di chi spetta (art. 1891 c.c.), sostenendo, invece, che la polizza in questione era riferibile non solo alle parti condominiali, ma anche alle proprietà dei singoli condomini. La circostanza sarebbe desumibile dal fatto che in contratto il bene assicurato viene esplicitamente identificato nell’intero fabbricato e che una serie di altre espressioni porterebbero a ritenere valido il riferimento anche alle singole proprietà. Aggiunge pure il ricorrente che le clausole contrattuali porterebbero a ritenere il termine “condominio” come riferito non ad un soggetto distinto dai suoi partecipanti, bensì all’insieme degli stessi, che mantengono la loro individualità anche sotto il profilo proprietario. Diversamente il contratto sarebbe nullo, mentre deve privilegiarsi una interpretazione che ne conserva la validità.
Il secondo motivo (violazione artt. 75, 81, 100 c.p.c. – vizi della motivazione) sostiene che, anche a voler ritenere inapplicabile alla fattispecie la disposizione dell’art. 1891 c.c., l’amministratore non potrebbe ritenersi dotato di esclusiva legittimazione ad agire per i diritti derivanti dalla polizza; piuttosto, il ricorrente, come singolo condomino sarebbe dotato di legittimazione ad agire contro la compagnia per il recupero delle spese da lui sostenute per il ripristino delle parti comuni.
I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati, sono infondati.
I primi due tendono, in estrema sintesi, ad una qualificazione del contratto assicurativo in esame come contratto per conto di chi spetta, così da giungere al risultato che, benché stipulato dall’amministratore del condominio, esso possa essere rivolto (anche) a beneficio del singolo condomino, in relazione a sinistri che abbiano danneggiato (anche) la sua esclusiva proprietà. Il conseguimento di questo fine presuppone l’interpretazione del contratto, che non è compito del giudice di legittimità, la cui sfera di censura è limitata alla verifica del rispetto, da parte del giudice del merito, dei canoni ermeneutici dettati dal legislatore.
A tal riguardo occorre rilevare che il motivo di ricorso in questione non è specifico e difetta di autosufficienza. Per un verso, infatti, non censura specificamente la violazione di canoni ermeneutici, ma si limita alla mera contrapposizione della favorevole interpretazione rispetto a quella sfavorevole contenuta in sentenza; per altro verso, non riporta integralmente le clausole contrattuali ritenute rilevanti, ma si limita a stralciarne brevi frasi o, addirittura, singole parole, così da non porre in condizione la Corte di adempiere alla richiesta verifica.
L’interpretazione fornita dal giudice di merito (che, come s’è visto, con motivazione congrua e logica interpreta la polizza come diretta ad assicurare solo le parti comuni dell’edificio) resta, dunque, incensurabile, in quanto priva di vizi giuridici e relativi alla motivazione.
Quanto al terzo motivo – che, così come formulato, è subordinato all’ipotesi che i precedenti siano respinti – deve essere ribadito il principio in ragione del quale: la circostanza che il condominio sia un ente di gestione, sprovvisto di personalità giuridica, non comporta che, nel caso di polizza stipulata dal condominio in persona dell’amministratore, ciascun condomino possa sostituirsi all’amministratore stesso ed agire, nel proprio interesse, nei riguardi dell’assicuratore; la rappresentanza spetta, infatti, comunque all’amministratore ed il singolo condomino non può considerarsi singolarmente legittimato a rappresentare l’ente di gestione, contraente della polizza nell’interesse di tutti i partecipanti al condominio (tra le altre, cfr. Cass. 26 marzo 1996, n. 2678).
In base alla menzionata regola deve essere, dunque, confermata la sentenza nel punto in cui ha escluso la legittimazione del condomino ad agire nei confronti della compagnia.
In conclusione, il ricorso deve essere respinto, con condanna del ricorrente a rivalere la controparte delle spese sopportate nel giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.100,00, di cui Euro 100,00 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.