Tar Lazio – Sentenza del 04.01.2008 n. 47 – Cittadinanza italiana
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sezione Prima ter,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA sul ricorso n. 1161/1997 Reg. Gen., proposto da S. Rasmi,
CONTRO
il Ministero dell’interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato presso la cui sede domicilia ex lege
per l’annullamento
del decreto ministeriale del 10 luglio 1996 con il quale è respinta l’istanza presentata dal ricorrente per ottenere la cittadinanza italiana.
Visto il ricorso con i relativi allegati; Viste le difese delle parti costituite; Viste le memorie difensive per l’udienza di discussione del ricorso; Visti gli atti tutti della causa;
Udito alla pubblica udienza del 25 ottobre 2007 il magistrato relatore, Consigliere Salvatore Mezzacapo; Uditi altresì gli avvocati delle parti costituite come indicati nel verbale di udienza;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
F A T T O e D I R I T T O
Con l’avversato decreto è respinta l’istanza presentata dal ricorrente per ottenere la cittadinanza italiana.
In particolare, per come si legge nell’avversato provvedimento, il rigetto si fonda sulla considerazione secondo cui “dalle risultanze dell’istruttoria esperita sono emersi elementi di valutazione tali da far ritenere, nel caso dell’interessato, la sussistenza di motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica che a termini dell’art. 6, n. 1, lettera c) della legge suindicata, precludono l’acquisto della cittadinanza italiana” (il riferimento normativo è alla legge n. 91 del 1992).
Avverso detto decreto è dunque proposto il presente ricorso affidato a diverse ed articolate censure.
Si è costituita in giudizio, con mera memoria di stile e senza produrre alcun elemento in ordine alla presente controversia, l’Amministrazione dell’interno chiedendo che il proposto ricorso venga respinto.
Alla pubblica udienza del 25 ottobre 2007 la causa è stata rimessa in decisione, in esito alla discussione orale.
Va preliminarmente ricordarto che, a seguito di decisione interlocutoria n. 1628 del 2007, la resistente Amministrazione ha depositato con la classifica di “riservato”, unitamente ad altra documentazione, la nota del Servizio stranieri della Direzione centrale per gli affari generali del Dipartimento della Pubblica sicurezza del Ministero dell’interno – in data 10 gennaio 1996 – ed indirizzata alla Divisione cittadinanza della Direzione generale per l’amministrazione generale e per gli affari del personale del medesimo Ministero nella quale si dà conto che, a seguito di attività informativa, “è emerso che il predetto sarebbe sospettato di essere il corriere di una organizzazione mafiosa palermitana”. Di qui l’affermazione secondo cui si evidenzia “una personalità giudicata inaffidabile” e la conseguente espressione di parere contrario all’accoglimento dell’istanza di concessione della cittadinanza italiana “nella considerazione che l’eventuale concessione della naturalizzazione possa costitutire presupposti per più incisive attività potenzialmente pericolose”.
In sostanza, quegli elementi di valutazione, genericamente richiamati nell’atto impugnato, tali da far ritenere alla resistente Amministrazione la sussistenza di motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica che a termini dell’art. 6, n. 1, lettera c) della legge n. 91 del 1992 precludono al ricorrente l’acquisto della cittadinanza italiana, si riducono al sospetto che l’interessato sia “il corriere di una organizzazione mafiosa palermitana”.
Il dato è sicuramente di rilievo e meritevole di ogni attenzione, in specie di fini di cui trattasi della concessione della cittadinanza italiana. E tuttavia non può non segnalarsi come, a fronte di detta nota risalente al gennaio del 1996, l’Amministrazione non abbia in occasione del relativo deposito nell’aprile del 2007 fornito alcuna indicazione sui presumibili sviluppi in sede penale del segnalato sospetto, e ciò ad oramai più di dieci anni di distanza dalla segnalazione. Anzi, la stessa Amministrazione, in occasione del deposito della ricordata nota, ha pure depositato certificazioni carichi pendenti e casellario da cui non risultano procedimenti penali in corso e nulla nel casellario a carico dell’odierno ricorrente. Tutto ciò, in uno con la circostanza per cui il ricorrente risiede nel nostro Paese dal 1978 (di professione architetto, è coniugato con una cittadina italiana dal 19 aprile 1986) ed ha sempre ottenuto il rinnovo del proprio permesso di soggiorno da parte di quella stessa Amministrazione che tuttavia lo ritiene una minaccia alla sicurezza dello Stato, rende illegittimo, ad avviso del Collegio, l’avversato diniego di cittadinanza per insufficienza della motivazione.
Non vi è dubbio che la legge ha conferito agli organi ai quali è demandata l’adozione dell’atto di concessione della cittadinanza italiana un ampio potere discrezionale (la cittadinanza italiana, infatti, “può” e non “deve” essere concessa), mirato a valutare, oltre che il possesso dei requisiti di legge, anche una serie di elementi dai quali trarre un giudizio positivo della persona che ha chiesto di entrare a fare parte della nostra collettività, presupposto del quale è necessariamente la valutazione della avvenuta integrazione dello straniero in Italia nel rispetto dei principi morali e giuridici vigenti nel nostro ordinamento.
Nel caso di specie, il Collegio ritiene di dover rilevare con riguardo all’atto impugnato un evidente profilo di insufficienza ed inadeguatezza della motivazione portata a sostegno di un atto pur così ampiamente discrezionale, come quello in tema di concessione della cittadinanza. Insufficienza ed inadeguatezza della motivazione che si appalesano agevolmente avuto riguardo, da un lato, alla ricorrenza di un mero sospetto non meglio supportato da elementi di riscontro (se del caso anche nel prosieguo di tempo) e, dall’altro, ad un quadro d’insieme (personalità del ricorrente, lunga permanenza nel nostro Paese, stabilizzazione familiare e lavorativa nel nostro Paese, rinnovi del permesso di soggiorno senza che nulla sia mai emerso a carico dell’interessato) che appare stridere con il già ricordato sospetto. Viene in essere, dunque, un profio di adeguatezza e per così dire di robustezza della motivazione in concreto dispiegata e non già di astratta sufficienza ed idoneità (in sé considerati) degli elementi addotti a sostegno del diniego di cittadinanza di cui è questione.
In definitiva, ribadite le svolte considerazioni, ritiene il Collegio fondato il proposto ricorso per insufficienza della motivazione dell’avversato decreto di rigetto della concessione di cittadinanza con conseguente annullamento del decreto avversato, salvi restando ovviamente gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione dell’interno chiamata a nuovamente pronunciarsi sulla domanda del ricorrente di concessione della cittadinanza.
Sussistono giusti motivi per compensare integralmente fra le parti le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione interna Prima Ter, ACCOGLIE il ricorso proposto da S. Rasmi e, per l’effetto, annulla il decreto impugnato, salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione dell’interno.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.