Il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione.
L’impugnativa del licenziamento può essere effettuata con qualsiasi atto scritto (lettera raccomadata, telegramma, etc.) idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore di contestare la validità e l’efficacia del provvedimento datoriale.
Il termine decadenziale decorre:
a) dalla comunicazione del licenziamento;
b) dalla comunicazione dei motivi ove non contestuale;
c) dalla comunicazione del preavviso in caso di licenziamento con preavviso.
In caso di impugnativa giudiziale si incorre nella decadenza suddetta “quando ci si sia limitati a depositare in cancelleria il ricorso introduttivo della causa di impugnazione entro il termine, provvedendo alla notificazione solo successivamente alla scadenza di esso, in quanto il mero deposito non è idoneo a realizzare la conoscenza da parte del convenuto della volontà espressa con l’atto depositato, salvo che dell’esistenza di questo egli non venga tempestivamente avvertito con comunicazione stragiudiziale, ma pur sempre per iscritto e anteriormente alla scadenza di cui sopra”, ciò “al fine di evitare l’insorgere di controversie in epoca lontana dai fatti con le intuitive difficoltà che ne conseguono in materia di prova per l’una e per l’altra parte”.
Infatti, secondo la Cassazione, il termine di decadenza opera nell’interesse del datore di lavoro, il quale deve avere la sicurezza di poter provvedere alla necessità dell’impresa senza il rischio di dover riassumere (o dover risarcire) dei lavoratori che siano stati licenziati anche in epoca remota ed è stato quasi introdotto come contropartita della disciplina limitativa dei licenziamenti ed a salvaguardi di fondamentali esigenze di certezza.