Ai sensi dell’art. 235, comma primo, n. 3 c.c., l’azione per il disconoscimento è consentita quando l’adulterio è stato commesso nel periodo del concepimento, con la conseguenza che la relativa prova deve riguardare quel periodo.
Sul tenore dell’art. 235 n. 3 c.c. e sulla relativa interpretazione giurisprudenziale, si riteneva che fosse possibile dare ingresso alla prova genetica o ematologica solo dopo che fosse stata fornita la prova dell’adulterio della moglie.
La Corte Costituzionale, con sentenza n. 266 del 6 luglio 2006 – dopo aver tenuto conto, da un lato, dei progressi della scienza biomedica, che, ormai, attraverso le prove genetiche od ematologiche, consentono di accertare l’esistenza o la non esistenza del rapporto di filiazione e, dall’altro, della difficoltà pratica di fornire la piena prova dell’adulterio, nonché dell’insufficienza di tale prova ad escludere la paternità – ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 235, primo comma, numero 3, del codice civile, nella parte in cui, ai fini dell’azione di disconoscimento della paternità, subordina l’esame delle prove tecniche, da cui risulta «che il figlio presenta caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno incompatibili con quelle del presunto padre», alla previa dimostrazione dell’adulterio della moglie.
CORTE DI CASSAZIONE CIVILE Sez. I, 3 aprile 2007, n. 8356
Svolgimento del processo. – Con atto di citazione notificato il 6-14 luglio 1998 S.T. proponeva dinanzi al Tribunale di Roma domanda di disconoscimento della paternità di M.T.B., nata il 19 luglio 1997. Esponeva che all’epoca del concepimento viveva di fatto separato dalla moglie A.G.: che quest’ultima aveva spesso violato il dovere di fedeltà coniugale; che la G. non gli aveva comunicato il nome del nosocomio in cui sarebbe venuta alla luce la figlia e si era rifiutata di far sottoporre la bambina all’esame del d.n.a. nel corso di un giudizio di accertamento tecnico preventivo da lui proposto. La domanda era respinta dal Tribunale con sentenza depositata il 26 settembre 2000. Il S.T. proponeva appello deducendo che la prova dell’adulterio della moglie poteva essere fornita anche a mezzo dl presunzioni, che la prova ematologica era ammissibile, oltre che in caso di adulterio della moglie, anche quando questa celi la nascita del figlio, e che la prova ematologica poteva servire a dimostrare l’adulterio. La Corte d’appello di Roma, con sentenza del 2-25 ottobre 2002 rigettava l’impugnazione proposta dal S.T., osservando, tra l’altro: a) che la prova per testi dedotta era stata rettamente reputata dal Tribunale inidonea a dimostrare che la moglie avesse commesso adulterio nel periodo del concepimento; b) che l’esistenza di relazioni in altri tempi non poteva fornire la prova per presunzioni dell’adulterio in quel periodo, nemmeno ai fini dell’ espletamento della c. t. ematologica, gravando sull’attore l’onere della prova certa di un vero e proprio adulterio nel suddetto periodo; c) che la prova genetica o ematologica non poteva essere ammessa per integrare quella, carente, dell’adulterio ovvero del celamento della gravidanza e della nascita, circostanze queste che avrebbero dovuto essere preliminarmente dimostrate; d) che non erano condivisibili i prospettati dubbi di incostituzionalità dell’art. 235 c.c.. Avverso la sentenza d’appello il S.T. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi, illustrati con memoria. A.G. ed il curatore della minore hanno resistito con distinti controricorsi. Con ordinanza n. 10742 depositata il 5 giugno 2004 questa Corte ha dichiarato rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 235, primo comma, n. 3 c.c., nella parte in cui ammette il marito a provare che il figlio presenta caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno incompatibili con quelle del presunto padre, se nel periodo del concepimento la moglie ha commesso adulterio, per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., ed ha quindi sospeso il giudizio e trasmesso gli atti alla Corte Costituzionale. A seguito della pronuncia della Corte Costituzionale (sentenza n. 266 del 6 luglio 2006), la causa è stata nuovamente fissata per la discussione dinanzi a questa Corte. Il S.T. ha presentato nuovamente memoria.
Motivi della decisione. – 1. Con il primo mezzo d’impugnazione il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 235, comma primo, n. 3 c.c., dell’art. 2697 c.c., degli artt. 2727-2729 c.c., degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, sostenendo: a) che era illogica l’affermazione della sentenza secondo cui non sarebbe bastata la prova di una semplice relazione della donna, occorrendo invece un vero e proprio adulterio, tale da procurare il concepimento; b) che la prova articolata fin dal primo grado tendeva a dimostrare una pluralità di incontri notturni della G. in camere d’albergo, estendentisi da prima del matrimonio al periodo del matrimonio ed ancora a dopo la nascita del figlio e che dai fatti dedotti nei capitoli di prova sarebbe stata desumibile, per presunzione, l’esistenza di adulterio nel periodo del concepimento; c) che, inoltre, rispetto alla pretesa di disconoscimento fondata sul celamento della nascita – circostanza che pure avrebbe abilitato ex se all’effettuazione delle prove ematico-genetiche – si era registrata un’omessa pronuncia, nonostante i capitoli di prova e le deduzioni formulati al riguardo.
2. La controricorrente ha eccepito l’inammissibilità e l’improcedibilità del ricorso per mancata formulazione delle conclusioni, in quanto la richiesta di rinvio ad altra Corte d’appello per un nuovo esame non integrerebbe il requisito della specificità della domanda ex art. 99 c.p.c. e ss., impedendo a posteriori la pronuncia di cui all’art. 112 c.p.c..
3. L’eccezione della ricorrente non è fondata, atteso che il ricorrente ha concluso, in via principale, affinchè la Corte, in accoglimento del primo motivo del ricorso, annulli con rinvio l’impugnata sentenza, e che tali conclusioni sono logicamente collegate al contenuto delle censure rivolte contro la decisione di secondo grado, confermativa del rigetto della domanda di disconoscirnento della paternità.
4. Come già osservato da questa Corte nell’ordinanza di rimessione della causa alla Corte Costituzionale, le censure contenute nel primo motivo di ricorso non appaiono fondate per le seguenti ragioni: a) la Corte d’appello ha ritenuto che la prova testimoniale a conferma delle indagini eseguite da un’agenzia investigativa – secondo cui la G. aveva lavorato per conto di una società come “accompagnatrice per professionisti” soggiornando in camere di albergo con uomini diversi dal S.T. il 19.7, il 27.7, il 29.10 ed il 30.10 dell’anno 1994, nonché il 24.1, il 3.3., il 7.8. ed il 23.11 dell’anno 1995, oltre che il 30.3. e dal 23 al 26 dicembre dell’anno 1997 – era stata rettamente reputata dal Tribunale inidonea a dimostrare che la G. avesse commesso adulterio durante il periodo del concepimento (settembre, ottobre, novembre e dicembre 1996); b) a giudizio del Collegio la censura formulata dal ricorrente contro la suddetta affermazione non riguarda un punto decisivo della controversia, atteso che, ai sensi dell’art. 235, comma primo, n. 3 c.c., l’azione per il disconoscimento è consentita quando l’adulterio è stato commesso nel periodo del concepimento, con la conseguenza che la relativa prova deve riguardare quel periodo (in tal senso, vedi anche Cass. 7 settembre 1984 n. 4783), mentre le circostanze oggetto della prova testimoniale richiesta nella specie riguardavano periodi diversi; c) la Corte territoriale ha pure escluso che tali circostanze potessero essere utilizzate per provare “per presunzioni” che l’adulterio avesse avuto luogo anche nel periodo del concepimento e siffatta valutazione – riguardando un apprezzamento di fatto esente da vizi di illogiciti – sfugge al sindacato di legittimità di questa Corte; d) quanto al vizio di omessa pronuncia riguardante il punto del celamento della nascita e della relativa richiesta di prova, va rilevato che la Corte d’appello nella motivazione collega espressamente la lamentela del S.T. in ordine alla mancata ammissione delle prove testimoniali non solo al profilo dell’adulterio, ma anche a quello del celamento al marito della nascita del figlio, sicché deve ritenersi che il giudice di merito non abbia omesso di prendere in considerazione tale aspetto, ma abbia considerato irrilevante la prova relativa, tenuto conto della prospettazione dei fatti da parte dell’appellante – che sin dal primo grado di giudizio aveva sostenuto che la G. aveva rifiutato di comunicare al marito il nosocomio in cui avrebbe partorito – e del tenore dei capitoli di prova dedotti (dal testo dei quali, riportato nel ricorso per cassazione, si ricavano circostanze non decisive ai fini della prova del celamento della nascita del figlio, atteso che, secondo il S.T., egli avrebbe concordato con la moglie che il bambino sarebbe nato presso il Policlinico “Gemelli”, mentre la sera prima della nascita del bambino la G., senza comunicare la sua intenzione al marito, si era fatta ricoverare all’ospedale “Fatebenefratelli” dove aveva partorito).
5. Con il secondo motivo il ricorrente prospetta una questione di costituzionalità, in riferimento agli artt. 3, 24 e 30 Cost., dell’art. 235, comma primo, c.c., poiché la sentenza impugnata, basandosi sul tenore dell’art. 235 n. 3 c.c. e sulla relativa interpretazione giurisprudenziale, aveva ritenuto che fosse possibile dare ingresso alla prova genetica o ematologica solo dopo che fosse stata fornita la prova dell’adulterio della moglie.
6. La questione di costituzionalità sollevata dal S.T. è stata ritenuta rilevante e non manifestamente infondata da questa Corte, in relazione agli artt. 3 e 24 Cost., con conseguente rimessione degli atti alla Corte Costituzionale. La Corte Costituzionale, con sentenza n. 266 del 6 luglio 2006 – dopo aver tenuto conto, da un lato, dei progressi della scienza biomedica, che, ormai, attraverso le prove genetiche od ematologiche, consentono di accertare l’esistenza o la non esistenza del rapporto di filiazione e, dall’altro, della difficoltà pratica di fornire la piena prova dell’adulterio, nonché dell’insufficienza di tale prova ad escludere la paternità – ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 235, primo comma, numero 3, del codice civile, nella parte in cui, ai fini dell’azione di disconoscimento della paternità, subordina l’esame delle prove tecniche, da cui risulta «che il figlio presenta caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno incompatibili con quelle del presunto padre», alla previa dimostrazione dell’adulterio della moglie. Per effetto di tale dichiarazione di incostituzionalità, che ha efficacia retroattiva (Cass. 10 maggio 2006 n. 10761; 7 maggio 2003 n. 69261), è venuta meno la norma posta dalla Corte d’appello a fondamento della decisione di rigetto del gravame.
7. La sentenza impugnata deve essere, pertanto, cassata e la causa va rinviata ad altra sezione della Corte di appello di Roma che la riesaminerà tenendo conto della disciplina contenuta nell’art. 235 c.c., quale risulta dalla suddetta dichiarazione di parziale incostituzionalità, e cioè dell’ammissibilità delle suddette prove tecniche indipendentemente dalla previa dimostrazione dell’adulterio della moglie. Il giudice di rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.