La Corte Costituzionale afferma che «la tutela della salute riguarda la generale e comune pretesa dell’individuo a condizioni di vita, di ambiente e di lavoro che non pongano a rischio questo suo bene essenziale»: una salvaguardia che implica non solo «situazioni attive di pretesa», ma comprende – oltre alle misure di prevenzione – il dovere di non ledere né porre a rischio con il proprio comportamento la salute altrui.
Pertanto, ove si profili un’incompatibilità tra il diritto alla salute ed i liberi comportamenti dei soggetti che non hanno una copertura costituzionale, deve accordarsi prevalenza al primo.
Sulla scorta di tanto, la giurisprudenza costituzionale ritiene che sia prevalente il diritto dei lavoratori alla tutela della salute contro i rischi derivanti dal c.d. fumo passivo.
Invero, le norme costituzionali (att. 32 e 41 Cost.) e la legislazione ordinaria (artt. 2087 c.c. e d. lg. 19 settembre 1994, n. 626) offrono «disposizioni intese a proteggere la salute dei lavoratori da tutto ciò che è atto a danneggiarla, ivi compreso il fumo passivo.
In base a tale sistema garantistico, il datore di lavoro deve adottare tutte le cautele idonee, nel senso che «la tutela preventiva dei non fumatori nei luoghi di lavoro può ritenersi soddisfatta quando, mediante una serie di misure adottate secondo le diverse circostanze, il rischio derivante dal fumo passivo, se non eliminato, sia ridotto ad una soglia talmente bassa da far ragionevolmente escludere che la loro salute sia messa a repentaglio».
La Corte Costituzionale, assumendo la nocività del fumo passivo, ha affermato la legittimità di una richiesta di risarcimento del danno biologico ex artt. 32 Cost. e 2043 c.c..