La Corte di Giustizia, con la sentenza del 12 maggio 2005, condanna l’Italia per inadempimento, in qualità di Stato membro dell’Unione Europea, agli obblighi di libera circolazione dei lavoratori, non avendo dato adeguata considerazione all’esperienza professionale acquisita in altri Stati membri, nei concorsi per l’assunzione di personale docente nella scuola pubblica italiana, con conseguente violazione dell’art. 39 del Trattato CE e dell’art. 3 n. 1 del regolamento del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612.
Ai sensi dell’art. 39, n. 1, CE, «la libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità è assicurata». Essa implica, in base al n. 2 dello stesso articolo, «l’abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli Stati membri, per quanto riguarda l’impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro».
L’art. 3 del regolamento n. 1612/68 esplicita i principi stabiliti dall’art. 39 CE per quanto riguarda, più in particolare, l’accesso all’impiego. Pertanto, ai sensi del n. 1 di questa disposizione, non sono applicabili, nell’ambito del detto regolamento, «le disposizioni legislative, regolamentari o amministrative o le pratiche amministrative di uno Stato membro:
– che limitano o subordinano a condizioni non previste per i nazionali la domanda e l’offerta di impiego, l’accesso all’impiego ed il suo esercizio da parte degli stranieri;
– o che, sebbene applicabili senza distinzione di nazionalità, hanno per scopo o effetto esclusivo o principale di escludere i cittadini degli altri Stati membri dall’impiego offerto».
Si allega la Sentenza in argomento:
Corte di Giustizia, seconda sezione
Sentenza del 12 maggio 2005
(presidente estensore Timmermans)
Nel procedimento C-278/03,
avente ad oggetto un ricorso per inadempimento ai sensi dell’art. 226 CE, proposto il 26 giugno 2003,
Commissione delle Comunità europee, rappresentata dalla sig.ra M.J. Jonczy, in qualità di agente, con domicilio eletto in Lussemburgo, ricorrente,
contro
Repubblica italiana, rappresentata dal sig. I.M. Braguglia, in qualità di agente, assistito dal sig. G. De Bellis, avvocato dello Stato, con domicilio eletto in Lussemburgo, convenuta,
LA CORTE (Seconda Sezione),
composta dal sig. C.W.A. Timmermans (relatore), presidente di sezione, dai sigg. C. Gulmann, R. Schintgen, G. Arestis e J. Kluka, giudici,
avvocato generale: sig.ra C. Stix-Hackl
cancelliere: sig. R. Grass
vista la fase scritta del procedimento,
vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di trattare la causa senza conclusioni,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1. Con il suo ricorso, la Commissione delle Comunità europee chiede alla Corte di constatare che la Repubblica italiana, non tenendo conto dell’esperienza professionale acquisita da cittadini comunitari nella funzione pubblica di un altro Stato membro ai fini della partecipazione dei detti cittadini a concorsi per l’assunzione di personale docente nella scuola pubblica italiana, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi degli artt. 39 CE e 3 del regolamento (CEE) del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità (GU L 257, pag. 2).
Ambito normativo
La normativa comunitaria
2. Ai sensi dell’art. 39, n. 1, CE, «la libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità è assicurata». Essa implica, in base al n. 2 dello stesso articolo, «l’abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli Stati membri, per quanto riguarda l’impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro».
3. L’art. 3 del regolamento n. 1612/68 esplicita i principi stabiliti dall’art. 39 CE per quanto riguarda, più in particolare, l’accesso all’impiego. Pertanto, ai sensi del n. 1 di questa disposizione, non sono applicabili, nell’ambito del detto regolamento, «le disposizioni legislative, regolamentari o amministrative o le pratiche amministrative di uno Stato membro:
– che limitano o subordinano a condizioni non previste per i nazionali la domanda e l’offerta di impiego, l’accesso all’impiego ed il suo esercizio da parte degli stranieri;
– o che, sebbene applicabili senza distinzione di nazionalità, hanno per scopo o effetto esclusivo o principale di escludere i cittadini degli altri Stati membri dall’impiego offerto».
La normativa nazionale
4. Nella sua versione applicabile ai fatti della presente causa, l’art. 37 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, recante razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421 ( Supplemento ordinario alla GURI n. 30 del 6 febbraio 1993; in prosieguo: il «decreto legislativo n. 29/1993»), stabiliva:
«1. I cittadini degli Stati membri della Comunità economica europea possono accedere ai posti di lavoro presso le amministrazioni pubbliche che non implicano esercizio diretto o indiretto di pubblici poteri, ovvero non attengono alla tutela dell’interesse nazionale.
2. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell’art. 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono individuati i posti e le funzioni per i quali non può prescindersi dal possesso della cittadinanza italiana, nonché i requisiti indispensabili all’accesso dei cittadini di cui al comma 1.
3. Nei casi in cui non sia intervenuta una disciplina di livello comunitario, all’equiparazione dei titoli di studio e professionali si provvede con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, adottato su proposta dei ministri competenti. Con eguale procedura si stabilisce l’equivalenza tra titoli accademici e di servizio rilevanti ai fini dell’ammissione al concorso e della nomina».
La fase precontenziosa del procedimento ed il ricorso
5. Avendo avuto conoscenza dei problemi incontrati da diversi cittadini comunitari nell’ambito della loro partecipazione ai concorsi per l’assunzione di personale docente nella scuola pubblica italiana, problemi derivanti essenzialmente dalla mancata presa in considerazione, da parte delle autorità italiane, dell’esperienza professionale acquisita precedentemente da tali cittadini in altri Stati membri, la Commissione, in data 24 novembre 1999, ha inviato alla Repubblica italiana una lettera nella quale invitava quest’ultima a presentare le sue osservazioni relative a tale situazione e ad informarla sia sulle norme vigenti in materia sia sul modo in cui essa intendeva in concreto risolvere i detti problemi.
6. In un primo tempo, le autorità italiane hanno negato qualsiasi obbligo di prendere in considerazione l’esperienza acquisita dai cittadini comunitari al di fuori dell’Italia. Con lettera 28 marzo 2000 del Ministero della Pubblica istruzione, tali autorità hanno infatti sostenuto che, in considerazione delle regole e delle caratteristiche proprie di ciascun sistema scolastico nazionale, era obbligatorio che la detta esperienza fosse acquisita presso istituti rientranti nel sistema scolastico italiano. Una previa armonizzazione dei criteri applicabili in ciascuno Stato membro sarebbe quindi indispensabile affinché le attività di insegnamento prestate da cittadini comunitari in Stati membri diversi dalla Repubblica italiana possano essere prese in considerazione ai fini della partecipazione di questi cittadini a concorsi per l’assunzione nel servizio pubblico italiano.
7. In seguito all’invio, in data 6 aprile 2001, di una lettera di diffida con cui si richiamava l’attenzione delle autorità italiane sugli obblighi derivanti dagli artt. 39 CE e 3 del regolamento n. 1612/68, come interpretati dalla Corte, in particolare nella sentenza 23 febbraio 1994, causa C419/92, Scholz (Racc. pag. I505), il governo italiano ha ammesso che la posizione adottata, nel caso di specie, dal Ministero della Pubblica istruzione appariva in contrasto con le disposizioni della normativa nazionale, le quali contemplerebbero, all’art. 37 del decreto legislativo n. 29/1993, l’obbligo di prendere in considerazione le qualificazioni e l’esperienza acquisite nel servizio pubblico di altri Stati membri. Lo stesso governo ha aggiunto tuttavia che il riconoscimento dell’esperienza e dell’anzianità di servizio maturata dai cittadini comunitari al di fuori del territorio nazionale continuava a porre un certo numero di difficoltà a causa della mancata attuazione, da parte di tale Ministero, della procedura prevista dall’art. 37, n. 3, del detto decreto legislativo. Secondo il governo italiano, la mancata trasmissione, alla Presidenza del Consiglio dei ministri, dei documenti necessari per l’adozione del decreto che stabilisce l’equivalenza tra diplomi, titoli e qualificazioni acquisiti negli altri Stati membri costituisce, innegabilmente, una violazione degli obblighi incombenti al Ministero della Pubblica istruzione, ma tale violazione comporterebbe tuttavia unicamente una violazione del diritto interno, in quanto la normativa nazionale è di per sé compatibile con il diritto comunitario.
8. In tale contesto, ritenendo che l’inadempimento persistesse poiché non erano stati adottati tutti i provvedimenti al fine di rendere effettivo l’obbligo delle autorità italiane di prendere in considerazione l’esperienza e l’anzianità acquisite da cittadini comunitari nelle attività di insegnamento svolte al di fuori dell’Italia, la Commissione, in data 26 giugno 2002, ha emesso un parere motivato con cui invitava la Repubblica italiana ad adottare i provvedimenti necessari per conformarvisi entro due mesi a decorrere dalla sua notifica. Non avendo ottenuto alcuna risposta a tale parere, la Commissione ha deciso di proporre il presente ricorso.
Sul ricorso
Argomenti delle parti
9. Nel controricorso, il governo italiano contesta la fondatezza dell’inadempimento addebitato. Facendo riferimento, in particolare, all’art. 38 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, recante norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche ( Supplemento ordinario alla GURI n. 106 del 9 maggio 2001) – il quale corrisponde, in sostanza, all’art. 37 del decreto legislativo n. 29/1993 – nonché al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 7 febbraio 1994, n. 174, relativo al «Regolamento recante le norme sull’accesso dei cittadini degli Stati membri dell’Unione europea ai posti di lavoro presso le amministrazioni pubbliche» (GURI n. 61 del 15 marzo 1994), tale governo sostiene che sia la normativa sia la prassi delle autorità italiane sarebbero conformi ai requisiti comunitari.
10. Per quanto riguarda, più in particolare, il settore dell’insegnamento, lo stesso governo fa presente che l’assunzione degli insegnanti avviene, in Italia, in base a tre distinte modalità, ossia, per il 50% dei posti disponibili in ogni anno scolastico, mediante concorso per titoli ed esami, ai sensi dell’art. 400 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, recante approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado ( Supplemento ordinario alla GURI n. 115, del 19 maggio 1994; in prosieguo: il «decreto legislativo n. 297/1994»), e, per il residuo 50%, mediante graduatorie permanenti di cui all’art. 401 del medesimo decreto legislativo; apposite graduatorie per il conferimento di supplenze, contenenti i nomi degli insegnanti abilitati ad effettuare sostituzioni, vengono infine utilizzate per coprire i posti disponibili temporaneamente vacanti.
11. Secondo il governo italiano, non è stata operata alcuna discriminazione tra i cittadini italiani e quelli degli altri Stati membri per quanto riguarda la prima e la terza modalità di assunzione del personale docente poiché, nel primo caso, ossia quello del concorso per titoli ed esami, l’esperienza professionale non svolgerebbe alcun ruolo nell’ambito del procedimento di assunzione mentre, nel terzo caso, relativo alle ipotesi di sostituzione o di supplenza, il decreto ministeriale 25 maggio 2000, n. 201, relativo al «Regolamento recante le norme sulle modalità di conferimento delle supplenze al personale docente ed educativo ai sensi dell’articolo 4 della legge 3 maggio 1999, n. 124» (GURI n. 168 del 20 luglio 2000; in prosieguo: il «decreto n. 201/2000»), contemplerebbe esplicitamente l’attribuzione di un certo punteggio corrispondente alle attività di insegnamento svolte nelle scuole o negli istituti universitari degli altri Stati membri. Il governo italiano fa riferimento in particolare, a tal riguardo, all’allegato A di questo decreto il quale, al punto E, nota 9, equiparerebbe tali attività a servizi di terza fascia, che danno diritto, in Italia, all’attribuzione di un punteggio di 0,50 per ogni mese di insegnamento svolto in un altro Stato membro, fino ad un massimo di tre punti per anno.
12. Per quanto riguarda invece la seconda modalità di assunzione del personale docente in Italia, ossia l’assunzione operata mediante graduatorie permanenti, il governo italiano non nega che esiste una disparità di trattamento a seconda che le attività d’insegnamento di cui trattasi siano state svolte in Italia o in altri Stati membri. Secondo questo governo, una tale disparità è tuttavia giustificata in quanto l’insegnamento svolto all’estero avverrebbe sulla base di ordinamenti, programmi e contenuti diversi da quelli previsti in Italia e quindi sarebbe sprovvisto del requisito di «specificità» voluto dalla legge, il quale dà diritto, conformemente al decreto ministeriale 27 marzo 2000, n. 123, relativo al «Regolamento recante le norme sulle modalità di integrazione e aggiornamento delle graduatorie permanenti previste dagli articoli 1, 2, 6 e 11, comma 9, della legge 3 maggio 1999, n. 124 (GURI n. 113 del 17 maggio 2000; in prosieguo: il «decreto ministeriale n. 123/2000»), all’attribuzione di un punteggio supplementare nell’ambito del procedimento di assunzione.
Giudizio della Corte
13. In via preliminare, occorre respingere subito l’argomento del governo italiano secondo cui nessuna violazione del diritto comunitario può essere addebitata alla Repubblica italiana in quanto la sua normativa è conforme a tale diritto e l’inadempimento deriva, nella fattispecie, da una semplice prassi adottata dalle autorità competenti o dal ritardo di queste ultime nell’adozione dei provvedimenti necessari per il riconoscimento dell’esperienza acquisita dai cittadini comunitari in attività di insegnamento esercitate al di fuori del territorio nazionale. Infatti, un inadempimento può derivare dall’esistenza di una prassi amministrativa che viola il diritto comunitario, anche se la normativa nazionale vigente è, di per sé, compatibile con tale diritto (v., in tal senso, sentenza 26 giugno 2001, causa C212/99, Commissione/Italia, Racc. pag. I4923, punto 31).
14. Per quanto riguarda poi la materialità dell’infrazione addebitata, relativa alla violazione degli artt. 39 CE e 3 del regolamento n. 1612/68, occorre ricordare che, secondo il primo di questi due articoli come interpretato dalla Corte, qualora un ente pubblico di uno Stato membro, assumendo personale per posti che non rientrano nella sfera di applicazione dell’art. 39, n. 4, CE, stabilisca di tener conto delle attività lavorative anteriormente svolte dai candidati presso una pubblica amministrazione, tale ente non può, nei confronti dei cittadini comunitari, operare alcuna distinzione a seconda che tali attività siano state esercitate presso la pubblica amministrazione dello stesso Stato membro o presso quella di un altro Stato membro (v., in particolare, sentenza Scholz, cit., punto 12).
15. Per quanto riguarda l’art. 3 del regolamento n. 1612/68, occorre ricordare che esso esplicita i diritti enunciati all’art. 39 CE per quanto riguarda, in particolare, l’accesso all’impiego e deve pertanto essere interpretato allo stesso modo dell’art. 39 CE.
16. Orbene, nel caso di specie, non si può negare che questi diritti vengono violati dalla Repubblica italiana per quanto riguarda l’accesso dei cittadini comunitari ai concorsi per l’assunzione di personale docente nella scuola pubblica di tale Stato membro.
17. Per quanto riguarda, infatti, l’assunzione di personale docente effettuata sulla base di graduatorie permanenti le quali, come è stato rilevato al punto 10 della presente sentenza, riguardano la metà dei posti disponibili per anno scolastico, il governo italiano, nel controricorso, ha riconosciuto che ai cittadini comunitari veniva applicato un trattamento diverso a seconda che l’esperienza professionale presa in considerazione ai fini dell’iscrizione in tali graduatorie fosse stata acquisita nel territorio nazionale o in altri Stati membri, giustificando tale disparità con l’assenza di equivalenza tra i contenuti e i programmi dell’insegnamento italiano e quelli dell’insegnamento svolto al di fuori dell’Italia.
18. Orbene, dalla giurisprudenza menzionata al punto 14 della presente sentenza risulta che un rifiuto assoluto di prendere in considerazione l’esperienza acquisita grazie ad attività d’insegnamento svolte in altri Stati membri, il quale sarebbe basato sull’esistenza di differenze tra i programmi d’insegnamento di detti Stati non può essere giustificato. Infatti, non si può negare che un’esperienza d’insegnamento specifica quale quella richiesta dalla normativa italiana, in particolare nel settore dell’insegnamento artistico o nell’insegnamento prestato ai portatori di handicap, può essere acquisita anche in altri Stati membri.
19. Per quanto riguarda la terza modalità di assunzione, richiamata al punto 10 della presente sentenza, relativa all’assunzione operata sulla base di apposite graduatorie per il conferimento di supplenze, nemmeno essa sembra garantire pienamente la parità di trattamento richiesta dagli artt. 39 CE e 3 del regolamento n. 1612/68. Infatti, dall’analisi delle disposizioni comunicate dal governo italiano nel corso del presente procedimento emerge un diverso grado di valutazione dell’esperienza professionale a seconda che questa sia stata acquisita nel territorio nazionale o in altri Stati membri.
20. Come la Commissione ha rilevato nella replica, risulta infatti dal decreto ministeriale n. 201/2000, e più in particolare dal suo allegato A, punto E, nota 9, che i servizi forniti in scuole o istituti universitari degli altri Stati membri sono sempre valutati come servizi della terza fascia del detto punto E, relativa alle «altre attività di insegnamento», le quali danno diritto all’attribuzione di mezzo punto per mese di insegnamento prestato, con un massimo di tre punti per ciascun anno scolastico. La lettura dello stesso decreto rileva tuttavia anche che solo le attività d’insegnamento svolte in istituzioni convittuali o in scuole materne, elementari, secondarie o artistiche della Repubblica italiana – siano esse pubbliche o private, ma riconosciute o sovvenzionate dallo Stato italiano – vengono fatte rientrare nelle prime due fasce dello stesso punto E, che riguardano, rispettivamente, il servizio «specifico» o «non specifico» di insegnamento, che danno in particolare diritto, il primo, all’attribuzione di due punti per ogni mese di insegnamento fino ad un massimo di dodici punti per ciascun anno scolastico e, il secondo, ad un punto per ogni mese di insegnamento fino ad un massimo di sei punti per ciascun anno scolastico.
21. In tale contesto, si deve constatare che, anche se l’esperienza professionale acquisita da cittadini comunitari fuori del territorio nazionale viene presa in considerazione nell’ambito dell’assunzione operata sulla base delle graduatorie per il conferimento di supplenze, essa non viene sempre valutata allo stesso modo di un’esperienza analoga acquisita nel territorio nazionale, senza che il governo italiano abbia fornito a tal riguardo la minima giustificazione.
22. Sulla base di tutte le considerazioni che precedono, occorre quindi constatare che la Repubblica italiana, non tenendo conto o, quantomeno, non tenendo conto in maniera identica, ai fini della partecipazione di cittadini comunitari ai concorsi per l’assunzione di personale docente nella scuola pubblica italiana, dell’esperienza professionale acquisita da questi cittadini nelle attività di insegnamento a seconda che queste attività siano state svolte nel territorio nazionale o in altri Stati membri, è venuta meno agli obblighi che ad essa incombono in forza degli artt. 39 CE e 3, n. 1, del regolamento n. 1612/68.
Sulle spese
23. Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, il soccombente è condannato alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ha chiesto la condanna della Repubblica italiana, che è rimasta soccombente, quest’ultima dev’essere condannata alle spese.
Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara e statuisce:
1) La Repubblica italiana, non tenendo conto o, quantomeno, non tenendo conto in maniera identica, ai fini della partecipazione dei cittadini comunitari ai concorsi per l’assunzione di personale docente nella scuola pubblica italiana, dell’esperienza professionale acquisita da questi cittadini nelle attività di insegnamento a seconda che queste attività siano state svolte nel territorio nazionale o in altri Stati membri, è venuta meno agli obblighi che ad essa incombono in forza degli artt. 39 CE e 3, n. 1, del regolamento del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità.
2) La Repubblica italiana è condannata alle spese.