L’inadempimento deve essere valutato anche in relazione alla sussistenza dell’elemento soggettivo, che consiste nella volontà del debitore di sottrarsi ingiustamente alla prestazione dovuta. Perché tale volontà manchi, rendendo l’inadempimento non imputabile al debitore, è necessario che questi abbia usato la diligenza del buon padre di famiglia (art. 1176 c.c.) senza essere sufficiente la buona fede circa l’apprezzamento della propria condotta se questa non coincida con l’esaurimento di tutte le possibilità di adempiere l’obbligazione secondo la normale diligenza. Da tale diligenza richiesta discende l’onere per il contraente di un negozio sinallagmatico di verificare, in concreto, la propria capacità di adempimento delle obbligazioni assunte, così che egli sarà da ritenersi senz’altro in colpa ove contragga senza avere la consapevolezza, in base alla comune diligenza, di poter mantenere o meno gli impegni derivanti dal contratto (Cass. sent. 10019/97).
Il principio di correttezza e buona fede, richiamando nella sfera del creditore la considerazione dell’interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all’interesse del creditore e operando, quindi, come un criterio di reciprocità, una volta collocato nel quadro di valori introdotto dalla Costituzione, deve essere inteso come una specificazione degli inderogabili doveri di solidarietà sociale imposti dall’art. 2 Cost. La sua rilevanza si esplica nell’imporre, a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra parte, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali e da quanto espressamente stabilito da singole disposizioni di legge (Cass. sent. 12310/1999), nonché dal dovere extracontrattuale del neminem ledere. In particolare, i principi di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. sono stati codificati dal legislatore come regolae iuris di carattere generale, con esclusivo riferimento ai rapporti precontrattuali e all’interpretazione ed esecuzione del negozio.
Ancora, l’obbligo della buona fede in sede di esecuzione del contratto deve ritenersi violato non solo nel caso in cui una parte abbia agito con il doloso proposito di recare pregiudizio all’altra, ma anche qualora il comportamento da essa tenuto non sia stato, comunque, improntato alla diligente correttezza ed al senso di solidarietà sociale che integrano appunto, il contenuto della buona fede (Cass. sent. 14726/2002, conf. Cass. sent. 960/1986; v. anche Cass. sent. 868/1988).