All’interno della coppia la violenza, sia fisica che psichica, può manifestarsi con diverse modalità e con differente intensità a seconda dei differenti comportamenti del partner.
Nell’ambito familiare la violenza può connaturarsi per una situazione di parità dialettica e di violenza tra i coniugi, ad esempio con insulti reciproci e lancio di piatti o altri oggetti; oppure può essere caratterizzata da una sottile e perversa violenza, per lo più psichica, attuata generalmente dall’uomo nei confronti della donna.
La violenza coniugale può assumere molteplici aspetti, quali gli insulti, il controllo, l’isolamento, la gelosia patologica, la molestia assillante, le critiche avvilenti, le umiliazioni, le intimidazioni, l’indifferenza alle richieste affettive, le minacce.
Diverse sono le forme di violenza fisica che si compiono all’interno delle mura domestiche, tra le quali: le percosse, la violenza sessuale, la pressione economica e finanziaria, la molestia per intrusione (cd “stalking”), l’omicidio del coniuge.
La caratteristica fondamentale di tale tipologia di violenza è l’occultamento della stessa, in quanto i maltrattamenti avvengono solamente in assenza di testimoni, mentre all’esterno o in presenza di terzi, l’autore si dimostra attento e premuroso nei confronti del partner. La stessa violenza fisica viene fatta in maniera da non lasciare tracce facilmente visibili sulla vittima.
Si parla, perciò, di “violenza pulita”, nel senso che non si vede niente, in quanto non ci sono prove. (cfr HIRIGOYEN, Molestie morali, Einaudi, 2006, 125).
L’effetto distruttore della violenza psichica deriva dalla ripetizione di aggressioni, apparentemente insignificanti ma continue.
Secondo lo studio condotto da Marie France Hirigoyen, psichiatra-vittimologa, in SOTTOMESSE, edito da Einaudi (2006) “si parla di violenza psicologica – all’interno della coppia – quando una persona adotta una serie di atteggiamenti e discorsi che mira a denigrare e rifiutare il modo di essere di un’altra persona. Quelle parole e quei gesti hanno lo scopo di rendere insicuro l’altro e fargli del male”. L’autrice aggiunge che “Violenza fisica e violenza psicologica sono legate: non esiste violenza fisica che non abbia avuto un retroterra di violenza psicologica. E comunque, la violenza psicologica, come nel caso della violenza perversa, può fare grossi danni anche da sola”. in particolare, si osserva “che nei momenti d’ira, tutti possiamo pronunciare parole offensive, sprezzanti, o fare gesti fuori luogo, ma di solito queste intemperanze sono seguite da rimorsi e da scuse. Nella violenza psicologica, invece, non si tratta di una trasgressione momentanea, ma di una forma di rapporto. Significa rifiutare l’altro e considerarlo un oggetto. Questi comportamenti sono destinati a sottomettere l’altro, a controllarlo e a mantenere il potere…Si tratta di un maltrattamento molto sottile; assai spesso le vittime dicono che il terrore ha inizio con uno sguardo di disprezzo, una parola umiliante, un tono minaccioso. Si tratta, senza bisogno di alcuna percossa, di mettere a disagio il partner di creare tensione, di spaventarlo per dimostrare appieno il proprio potere. E’ incontestabile che si provi un godimento nel dominare l’altro con un solo sguardo o un mutamento di tono”.
Tali violenze possono essere frutto del comportamento aggressivo del partner, ma possono anche essere originate da vere e proprie malattie mentali, come la paranoia o la schizofrenia.
Esistono molti disturbi psichici difficili da diagnosticare ed accertare, che si nascondono per molto tempo dietro l’apparenza di comportamenti normali ed innocui.
Le maggiori difficoltà, infatti, sono connesse all’accertamento della malattia psichica che non rileva immediatamente ad una accertamento medico.
Gli stessi malati, spesso soggetti di grande intelligenza, tendono a mascherare, soprattutto all’esterno, le manifestazioni della patologia. Sovente, il malato, per effetto della malattia stessa, rifiuta di sottoporsi a cure che, ai sensi dell’art. 32, comma 2, della Costituzione, non possono essere praticate coattivamente, in quanto nessuno può essere disposto ad un trattamento sanitario se non per disposizione di legge.
I familiari, sottovalutando i segnali che preannunciano lo stato patologico da cui è affetto il congiunto, frequentemente confondono la malattia per “carattere”, per un periodo di depressione, per raptus, per stress, etc. Ma, anche ove si rendano conto dello stato della malattia, non hanno strumenti per provare le manifestazioni patologiche del proprio caro.
Sovente la vittima sopporta, per molto tempo, con rassegnazione i soprusi, per la paura di ritorsioni fisiche che, nei casi più estremi, possono anche portare all’omicidio della donna che ha manifestato l’intenzione o ha lasciato il suo aggressore.
In psichiatria sono state studiate le modalità di estrinsecazione del comportamento del malato psichico. Secondo un autorevole orientamento, il ciclo di violenza si articola in quattro fasi:
1) fase di tensione, di irritabilità dell’uomo, legata a preoccupazioni o a difficoltà nel quotidiano. Durante questa fase, la violenza non si manifesta in modo diretto, ma trapela dalle mimiche (silenzi ostili), dagli atteggiamenti (occhiate aggressive), o dal timbro di voce (tono irritato). Tutto quello che fa la sua compagna, dà fastidio. Durante questa fase di accumulo della violenza, l’uomo tende a rendere la donna responsabile delle frustazioni e dello stress della propria vita. Naturalmente, i motivi che accampa sono un semplice pretesto, e in nessun caso una causa della violenza; eppure, la donna si sente responsabile. Se chiede cosa c’è che non va, il compagno risponde che va tutto bene, che è lei che si inventa le cose, che ha una falsa percezione della realtà, e la fa sentire in colpa: “Di cosa parli?”; “Non capisco di che ti lamenti!” ; “Mi dai noia, non ho fatto proprio niente!”. Si giunge allora alla violenza verbale e agli insulti, e la donna rimpiange di aver fatto una domanda.
2) fase di attacco, in cui lui dà l’impressione di perdere il controllo di se stesso. Ecco allora urla, insulti e minacce. L’uomo può anche rompere oggetti prima di aggredire fisicamente la compagna. La violenza fisica incomincia per gradi: spintoni, braccia torte, schiaffi, poi pugni ed eventualmente l’uso di un’arma. Non è raro che a questo stadio l’uomo voglia avere rapporti sessuali, per meglio sottolineare il proprio dominio. La donna non reagisce perché, grazie a piccoli, perfidi attacchi, il terreno è stato preparato, e lei ha paura. Può protestare, ma non si difende. Di rado, l’aggressione provoca collera in lei, quanto piuttosto tristezza e un senso di impotenza. Qualunque reazione irosa non fa che aggravare la violenza del partner, quindi, la donna è indifesa e, influenzata psicologicamente com’è, spesso non ha altra via che la sottomissione.
3) fase di scuse, di pentimento, in cui l’uomo cerca di cancellare o di minimizzare il proprio comportamento. L’uomo cerca di disfarsene dei rimorsi trovando una spiegazione in grado di discolparlo. La cosa più facile è dare la responsabilità alla compagna: è lei che l’ha provocato; oppure può giustificare il suo comportamento con motivazioni esterne (ira, alcool o superlavoro). Questa fase ha la funzione di fare sentire in colpa la donna, portandola a dimenticare la collera. In genere, lei finisce per dirsi che stando più attenta e modificando il proprio comportamento potrà evitate che il compagno perda di nuovo la pazienza. L’uomo chiede perdono, giura che non succederà più. Se la donna riesce finalmente ad andarsene, lui contatta qualche intimo perché la convinca a tornare. In quel momento l’uomo è sincero, ma ciò non significa affatto che non ricomincerà. Troppo spesso le donne prendono per oro colato le belle promesse fatte durante questa fase e concedono ben presto il loro perdono. Tanto più che l’uomo approfitta del momento per giustificarsi, parlando della propria infanzia infelice e per ricattare psicologicamente: “Solo tu puoi aiutarmi. Se mi lasci, non mi resta che morire!”.
4) fase di riconciliazione, definita anche della “luna di miele”, in cui l’uomo adotta un atteggiamento carino. All’improvviso si mostra attento, premuroso. Si mostra anche innamorato, offre regali, fiori, inviti al ristorante e si sforza di rassicurare la compagna. Può addirittura farle credere che è lei ad avere il potere. A volte, questa fase viene interpretata come una manipolazione perversa degli uomini al fine di meglio “tenere” la donna. In realtà, in questo preciso momento, gli uomini sono sinceri perché terrorizzati dall’idea di essersi spinti troppo oltre e di essere lasciati dalla moglie. Invece, è la paura dell’abbandono che porta a questo cambiamento momentaneo, ed è la medesima paura che, più tardi, li porterà a riassumere il controllo sulla compagna. Durante questa fase le donne ricominciano a sperare perché ritrovano l’uomo che era stato capace di farle innamorare. Pensano che riusciranno a recuperare quell’uomo ferito e che, con l’amore, lui cambierà. Disgraziatamente, tutto ciò non fa che alimentare la speranza nella donna, aumentando così il suo livello di tolleranza agli attacchi. In genere, è questo il momento che lei ritira le querele. Mentre la paura provata durante il periodo aggressivo potrebbe darle la voglia di porre fine alla situazione, il comportamento del compagno durante la fase di pentimento la stimola a rimanere. Il ciclo della violenza può così ricominciare Esiste un enorme differenza nel comportamento dell’uomo durante la fase di tensione e durante quella di riconciliazione. Le donne dicono spesso che non si trovano più di fronte allo stesso uomo, ma a un dottor Jekyll e Mr Hyde. (cfr. HIRIGOYEN, Sottomesse, Trento, 2005, 56 ss).
In base al profilo psicologico del malato variano la intensità e le modalità di esternazione della violenza che può assumere diverse espressioni, tra le più frequenti:
a) i narcisisti “si presentano come moralisti, dando lezioni di integrità agli altri. Sanno meglio di chiunque altro che cosa è bene e che cosa è male, e denunciano la cattiveria altrui. Per continuare a considerarsi onnipotenti, passano il tempo a criticare tutto e tutti, senza ammettere la minima discussione e alcun rimprovero. Quando capita loro qualcosa di negativo, tendono ad attribuire la responsabilità agli altri. Nella coppia, gli uomini sono dominatori e attraenti, e cercano di sottomettere e di isolare la compagna. Non chiedono amore, ma ammirazione e attenzione, pertanto usano il partner finchè li valorizza e lo buttano via appena smette di essere utile. […] L’autostima di un individuo narcisista si nutre esclusivamente dello sguardo dell’altro: senza l’altro non è niente. Il narcisista cerca la fusione, ha bisogno di fagocitare l’altro, di controllarlo, di farne uno specchio che rifletta soltanto una bella immagine di sé” (HIRIGOYEN, Sottomesse, cit, 138);
b) i perversi “entrano in relazione con gli altri per sedurli. Spesso li si descrive come persone affascinanti e brillanti. Una volta preso il pesce, si deve solo tenerlo all’amo finchè se ne ha bisogno: L’altro non esiste, non viene visto o ascoltato, è solamente “utile”. Nella logica perversa non esiste la nozione di rispetto per il prossimo. La seduzione perversa non comporta nessuna affettività, perché il principio stesso del funzionamento perverso è di evitare ogni affetto. La forza dei perversi è l’insensibilità. Non conoscono alcuno scrupolo di ordine morale. Non soffrono.Può accadere che i perversi si appassionino a una persona, un’attività, un’idea, ma si tratta di fiammate che restano molto in superficie. Ignorano i sentimenti veri, in particolare quelli di tristezza e di dolore. I fallimenti suscitano in loro collera o risentimento e un desiderio di rivalsa. Questo spiega la rabbia che si impadronisce di loro in caso di separazione. Quando un perverso subisce una ferita narcisistica (sconfitta, rifiuto), avverte un desiderio sconfinato di prendersi una rivincita. Non si tratta, come in un individuo collerico di una reazione passeggera e disordinata, è un rancore inflessibile al quale il perverso applica tutte le sue capacità di ragionamento. L’efficacia dei loro attacchi dipende al fatto che la vittima o l’osservatore esterno non immaginano che si possa essere a tal punto privi di sollecitudine o di compassione di fronte alla sofferenza altrui” ( HIRIGOYEN, Molestie morali, cit, 136);
c) gli ossessivi “sono perfezionisti. Il loro gusto per la perfezione è utilissimo sul piano professionale, anche se si fissano troppo sul particolare. Sul piano sociale, sono conformisti e rispettosi delle convenienze e delle leggi. Sul piano personale, sono persone difficili da sopportare; esigenti, dominatrici, egoiste, avare. Temono gli slanci emotivi. Si considerano serie e, secondo loro, gli altri sono irresponsabili e sconsiderati. Nel timore che il partner metta scompiglio nel loro ordine o esegua male un compito, verificano tutto, criticano tutto perché pensano che il loro modo di fare sia il migliore. Non tollerano, nell’altro, alcuna individualità. Hanno bisogno di controllare, di ribattere dialetticamente, di frenare qualunque iniziativa non provenga da loro. La loro violenza si esercita soprattutto attraverso la coazione e nel campo del potere. Gli ossessivi possono essere fisicamente violenti, ma c’è poco rischio che arrivino all’omicidio. La loro distruttività consiste piuttosto in un quotidiano logoramento e in un controllo incessante che esauriscono il partner. Gli ossessivi chiedono spesso una terapia, ma non bisogna aspettarsi un mutamento radicale. Nessuna terapia potrà trasformare un carattere ossessivo, ma dato che questi uomini e queste donne sanno controllare gli altri, possono anche imparare a controllare se stessi e a non scadere nella violenza” (HIRIGOYEN, Sottomesse, cit., 158);
d) le personalità antisociali o psicopatiche “diffidano delle proprie emozioni; per loro, i sentimenti di tenerezza o calore sono segni di debolezza. Amano tradire, per vantaggio o per piacere, e non esitano a mentire, a imbrogliare e a manipolare l’altro, senza alcuno scrupolo. Cercano di ottenere ciò che vogliono subito, con qualsiasi mezzo ma, di preferenza con la forza. La loro violenza è prima di tutto aggressiva, legata a un’irritabilità permanente o a un’aggressività a fior di pelle. Sono pronti a battersi al primo segnale. La caretteristica di questi uomini è una deficienza nella risposta emotiva, oppure risposte emotive superficiali. Sono incapaci di immaginare il dolore o la paura in una terza persona e, a maggior ragione, nella donna a cui fanno violenza. Inattaccabili dal senso di colpa, non provano alcun rimorso e non si mettono in discussione. Non traggono alcun insegnamento dagli errori passati” (HIRIGOYEN, Sottomesse, cit., 140).